donna, per me l'almo tuo nome in fronte di queste ormai giá troppe, e a te ben conte tragedie, ond'io di folle avrommi taccia;
di te fregiar: benché di tutte il fonte tu sola fossi; e il viver mio non conte, se non dal dí che al viver tuo si allaccia.
l'orrendo a un tempo ed innocente amore, sempre da' tuoi begli occhi il pianto elíce:
prova emmi questa, che al mio dubbio core
tacitamente imperíosa dice; ch'io di MIRRA consacri a te il dolore.
CINIRO; CECRI; MIRRA; PERÉO; EURICLÉA; Coro; Sacerdoti; Popolo.
Vieni, o fida Euricléa: sorge ora appena l'alba; e sí tosto a me venir non suole il mio consorte. Or, della figlia nostra misera tanto, a me narrar puoi tutto. Giá l'afflitto tuo volto, e i mal repressi tuoi sospiri, mi annunziano.
Mirra infelice, strascina una vita peggio assai d'ogni morte. Al re non oso pinger suo stato orribile: mal puote un padre intender di donzella il pianto; tu madre, il puoi. Quindi a te vengo; e prego, che udir mi vogli.
di sua rara beltá languire il fiore veggo: una muta, una ostinata ed alta malinconia mortale appanna in lei quel sí vivido sguardo: e, piangesse ella!. Ma, innanzi a me, tacita stassi; e sempre pregno ha di pianto, e asciutto sempre ha il ciglio. E invan l'abbraccio; e le chieggo, e richieggo, invano ognor, che il suo dolor mi sveli: niega ella il duol; mentre di giorno in giorno io dal dolor strugger la veggio.
ella è di sangue figlia; a me, d'amore; ch'io, ben sai, l'educava: ed io men vivo in lei soltanto; e il quarto lustro è quasi a mezzo giá, che al seno mio la stringo ogni dí fra mie braccia. Ed or, fia vero, che a me, cui tutti i suoi pensier solea, tutti affidar fin da bambina, or chiusa a me pure si mostri? E s'io le parlo del suo dolore, anco a me il niega, e insiste, e contra me si adira. Ma pur, meco spesso, malgrado suo, prorompe in pianto.
Tanta mestizia, in quel cor giovenile, io da prima credea, che figlia fosse del dubbio, in cui su la vicina scelta d'uno sposo ella stavasi. I piú prodi d'Asia e di Grecia principi possenti, a gara tutti concorreano in Cipro, di sua bellezza al grido: e appien per noi donna di se quanto alla scelta ell'era.
Turbamento non lieve in giovin petto dovean recare i varj, e ignoti, e tanti affetti. In questo, ella il valor laudava; dolci modi, in quello: era di regno maggiore l'un; con maestá beltade era nell'altro somma: e qual piaceva piú agli occhi suoi, forse temea che al padre piacesse meno. Io, come madre e donna, so qual battaglia in cor tenero e nuovo di donzelletta timida destarsi per tal dubbio dovea. Ma, poiché tolta ogni contesa ebbe Peréo, di Epíro l'erede; a cui, per nobiltá, possanza, valor, beltade, giovinezza, e senno, nullo omai si agguagliava; allor che l'alta scelta di Mirra a noi pur tanto piacque; quando in se stessa compiacersen ella lieta dovea; piú forte in lei tempesta sorger vediamo, e piú mortale angoscia la travaglia ogni dí?. Squarciar mi sento a brani a brani a una tal vista il core.
Deh, scelto pur non avesse ella mai! Dal giorno in poi, sempre il suo mal piú crebbe: e questa notte, ch'ultima precede l'alte sue nozze, (oh cielo!) a lei la estrema temei non fosse di sua vita. – Io stava tacitamente immobil nel mio letto, che dal suo non è lungi; e, intenta sempre ai moti suoi, pur di dormir fea vista: ma, mesi e mesi son, da ch'io la veggo in tal martír, che dal mio fianco antico fugge ogni posa. Io del benigno Sonno, infra me tacitissima, l'aíta per la figlia invocava: ei piú non stende da molte e molte notti l'ali placide sovr'essa. – I suoi sospiri eran da prima sepolti quasi; eran pochi; eran rotti: poi (non udendomi ella) in sí feroce piena crescean, che al fin, contro sua voglia, in pianto dirottissimo, in singhiozzi si cangiavano, ed anco in alte strida. Fra il lagrimar, fuor del suo labro usciva una parola sola: «Morte. morte;» e in tronchi accenti spesso la ripete. Io balzo in piedi; a lei corro, affannosa: ella, appena mi vede, a mezzo taglia ogni sospiro, ogni parola e pianto; e, in sua regal fierezza ricomposta, meco addirata quasi, in salda voce mi dice: «A che ne vieni? or via, che vuoi?.» Io non potea risponderle; io piangeva,
e l'abbracciava, e ripiangeva. Al fine riebbi pur lena, e parole. Oh, come io la pregai, la scongiurai, di dirmi il suo martír, che rattenuto in petto, me pur con essa uccideria!. Tu madre, con piú tenero e vivo amor parlarle non potevi, per certo. – Ella il sa bene s'io l'amo; ed anche, al mio parlar, di nuovo gli occhi al pianto schiudeva, e mi abbracciava, e con amor mi rispondea. Ma, ferma sempre in negar, dicea; ch'ogni donzella, per le vicine nozze, alquanto è oppressa di passeggera doglia; e a me il comando di tacervelo dava. Ma il suo male sí radicato è addentro, egli è tant'oltre, ch'io tremante a te corro; e te scongiuro di far sospender le sue nozze: a morte va la donzella, accertati. – Sei madre; nulla piú dico.
parlar poss'io. – Che mai, ch'esser può mai?. Nella sua etade giovanil, non altro martíre ha loco, che d'amor martíre. Ma, s'ella accesa è di Peréo, da lei spontanea scelto, onde il lamento, or ch'ella per ottenerlo sta? se in sen racchiude altra fiamma, perché scegliea fra tanti ella stessa Peréo?
il disperato dolor suo; tel giuro. Da me sempr'era custodita; e il core a passíon nessuna aprir potea, ch'io nol vedessi. E a me lo avria pur detto; a me, cui tiene (è ver) negli anni madre, ma in amore, sorella. Il volto, e gli atti, e i suoi sospiri, e il suo silenzio, ah! tutto mel dice assai, ch'ella Peréo non ama. Tranquilla almen, se non allegra, ella era pria d'aver scelto: e il sai, quanto indugiasse a scegliere. Ma pur, null'uomo al certo pria di Peréo le piacque: è ver, che parve ella il chiedesse, perché elegger uno era, o il credea, dovere. Ella non l'ama; a me ciò pare: eppur, qual altro amarne a paragon del gran Peréo potrebbe? D'alto cor la conosco; in petto fiamma, ch'alta non fosse, entrare a lei non puote. Ciò ben poss'io giurar: l'uom ch'ella amasse, di regio sangue ei fora; altro non fora. Or, qual ve n'ebbe qui, ch'ella a sua posta far non potesse di sua man felice?
D'amor non è dunque il suo male. Amore, benché di pianto e di sospir si pasca, pur lascia ei sempre un non so che di speme, che in fondo al cor traluce; ma di speme raggio nessuno a lei si affaccia: è piaga insanabil la sua; pur troppo!. Ah! morte, ch'ella ognor chiama, a me deh pria venisse! Almen cosí, struggersi a lento fuoco non la vedrei!.
nozze non vo', se a noi pur toglier ponno l'unica figlia. Or va; presso lei torna; e non le dir, che favellato m'abbi. Colá verrò, tosto che asciutto il ciglio io m'abbia, e in calma ricomposto il volto.
Deh! tosto vieni. Io torno a lei; mi tarda di rivederla. Oh ciel! chi sa, se mentre io cosí a lungo teco favellava chi sa, se nel feroce impeto stesso di dolor non ricadde? Oh! qual pietade mi fai tu pur, misera madre!. Io volo; deh! non tardare; or, quanto indugi meno, piú ben farai.
pensar tu il puoi: ma in tanto insolit'ora, né appellarla vogl'io, né a lei venirne, né turbata mostrarmele. Non vuolsi in essa incuter né timor, né doglia: tanto è pieghevol, timida, e modesta, che nessun mezzo è mai benigno troppo, con quella nobil indole. Su, vanne; e posa in me, come in te sola io poso.
Ma, che mai fia? giá l'anno or volge quasi, ch'io con lei mi consumo; e neppur traccia della cagion del suo dolor ritrovo! – Di nostra sorte i Numi invidi forse, torre or ci von sí rara figlia, a entrambi i genitor solo conforto e speme? Era pur meglio il non darcela, o Numi. Venere, o tu, sublime Dea di questa a te devota isola sacra, a sdegno la sua troppa beltá forse ti muove? Forse quindi al par d'essa in fero stato me pur riduci? Ah! la mia troppa e stolta di madre amante baldanzosa gioja, tu vuoi ch'io sconti in lagrime di sangue.
Non pianger donna. Udito in breve ho il tutto; Euricléa di svelarmelo costrinsi Ah! mille volte pria morir vorrei, che all'adorata nostra unica figlia far forza io mai. Chi pur creduto avrebbe, che trarla a tal dovessero le nozze chieste da lei? Ma, rompansi. La vita nulla mi cal, nulla il mio regno, e nulla la gloria mia pur anco, ov'io non vegga felice appien la nostra unica prole.
Eppur, volubil mai Mirra non era. Vedemmo in lei preceder gli anni il senno; saggia ogni brama sua; costante, intensa nel prevenir le brame nostre ognora. Ben ella il sa, se di sua nobil scelta noi ci estimiam beati: ella non puote quindi, no mai, pentirsene.
s'ella in cor sen pentisse? – Odila, o donna: tutti or di madre i molli affetti adopra con lei; fa ch'ella al fine il cor ti schiuda, sin che n'è tempo. Io t'apro il mio frattanto; e dico, e giuro, che il pensier mio primo è la mia figlia. È ver, che amico farmi d'Epíro il re mi giova: e il giovinetto Peréo suo figlio, alla futura spene d'alto reame, un altro pregio aggiunge, agli occhi miei maggiore. Indole umana, e cuor, non men che nobile, pietoso ei mostra. Acceso, in oltre, assai lo veggio di Mirra. – A far felice la mia figlia, scer non potrei piú degno sposo io mai; certo egli è di sue nozze; in lui, nel padre, giusto saria lo sdegno, ove la data fe si rompesse; e a noi terribil anco esser può l'ira loro: ecco ragioni molte, e possenti, d'ogni prence agli occhi; ma nulle ai miei. Padre, mi fea natura; il caso, re. Ciò che ragion di stato chiaman gli altri miei pari, e a cui son usi pospor l'affetto natural, non fia nel mio paterno seno mai bastante contra un solo sospiro della figlia. Di sua sola letizia esser poss'io, non altrimenti, lieto. Or va; gliel narra; e dille in un, che a me spiacer non tema,
nel discoprirmi il vero: altro non tema, che di far noi con se stessa infelici. Frattanto udir vo' da Peréo, con arte, se riamato egli s'estima; e il voglio ir preparando a ciò che a me non meno dorria, che a lui. Ma pur, se il vuole il fato, breve omai resta ad arretrarci l'ora.
Ben parli: io volo a lei. – Nel dolor nostro, gran sollievo mi arreca il veder, ch'uno voler concorde, e un amor solo, è in noi.
Eccomi a' cenni tuoi. Lontana molto, spero, o re, non è l'ora, in cui chiamarti padre amato potrò.
Se te stesso conosci, assai convinto esser tu dei, quanta e qual gioja arrechi a un padre amante d'unica sua figlia genero averti. Infra i rivali illustri, che gareggiavan teco, ove uno sposo voluto avessi a Mirra io stesso scerre, senza pur dubitar, te scelto avria. Quindi, eletto da lei, se caro io t'abbia doppiamente, tu il pensa. Eri tu il primo di tutti in tutto, a senno altrui; ma al mio, piú che pel sangue e pel paterno regno, primo eri, e il sei, per le ben altre doti tue veramente, onde maggior saresti d'ogni re sempre, anco privato.
(giá d'appellarti di un tal nome io godo) padre, il piú grande, anzi il mio pregio solo, è di piacerti. I detti tuoi mi attento troncar; perdona: ma mie laudi tante, pria di mertarle, udir non posso. Al core degno sprone sarammi il parlar tuo, per farmi io quale or tu mi credi, o brami. Sposo a Mirra, e tuo genero, d'ogni alto senso dovizia aver degg'io: ne accetto da te l'augurio.
E perché tal tu sei, quasi a mio figlio io parlarti ardirò. – Di vera fiamma ardi, il veggo, per Mirra; e oltraggio grave ti farei, dubitandone. Ma,. dimmi;. se indiscreto il mio chieder non è troppo,. sei parimente riamato?
celar ti debbo. – Ah! riamarmi, forse Mirra il vorrebbe, e par nol possa. In petto giá n'ebbi io speme; e ancor lo spero; o almeno, io men lusingo. Inesplicabil cosa, certo, è il contegno, in ch'ella a me si mostra. Ciniro, tu, benché sii padre, ancora
vivi ne' tuoi verdi anni, e amor rimembri: or sappi, ch'ella a me sempre tremante viene, ed a stento a me si accosta; in volto d'alto pallor si pinge; de' begli occhi dono a me mai non fa; dubbj, interrotti, e pochi accenti in mortal gelo involti muove; nel suolo le pupille, sempre di pianto pregne, affigge; in doglia orrenda sepolta è l'alma; illanguidito il fiore di sua beltá divina: – ecco il suo stato. Pur, di nozze ella parla; ed or diresti, ch'ella stessa le brama, or che le abborre piú assai che morte; or ne assegna ella il giorno, or lo allontana. S'io ragion le chieggo di sua tristezza, il labro suo la niega; ma di dolor pieno, e di morte, il viso disperata la mostra. Ella mi accerta, e rinnuova ogni dí, che sposo vuolmi; ch'ella m'ami, nol dice; alto, sublime, finger non sa il suo core. Udirne il vero io bramo e temo a un tempo: io 'l pianto affreno; ardo, mi struggo, e dir non l'oso. Or voglio di sua mal data fede io stesso sciorla; or vo' morir, che perder non la posso; né, senza averne il core, io possederla vorrei. Me lasso!. ah! non so ben s'io viva, o muoja omai. – Cosí, racchiusi entrambi, e di dolor, benché diverso, uguale ripieni l'alma, al dí fatal siam giunti, che irrevocabil oggi ella pur volle all'imenéo prefiggere. Deh! fossi vittima almen di dolor tanto io solo!
Pietá mi fai, quanto la figlia. Il tuo franco e caldo parlare un'alma svela umana ed alta: io ti credea ben tale; quindi men franco non mi udrai parlarti. – Per la mia figlia io tremo. Il duol d'amante divido io teco; ah! prence, il duol di padre meco dividi tu. S'ella infelice per mia cagion mai fosse!. È ver, che scelto ella t'ha sola; è ver, che niun l'astringe. Ma, se pur onta, o timor di donzella. se Mirra, in somma, a torto or si pentisse?.
Non piú; t'intendo. Ad amator, qual sono, appresentar puoi tu l'amato oggetto infelice per lui? ch'io me pur stimi cagion, benché innocente, de' suoi danni, e ch'io non muoja di dolore? – Ah! Mirra di me, del mio destino, omai sentenza piena pronunzi: e s'or Peréo le incresce, senza temenza il dica: io non pentito
sarò perciò di amarla. Oh! lieta almeno del mio pianger foss'ella!. A me fia dolce anco il morir, pur ch'ella sia felice.
Peréo, chi udirti senza pianger puote?. Cor, né il piú fido, né in piú fiamma acceso del tuo, non v'ha. Deh! come a me l'apristi, cosí il dischiudi anco alla figlia: udirti, e non ti aprire anch'ella il cor, son certo, che nol potrá. Non la cred'io pentita; (chi il fora, conoscendoti?) ma trarle potrai dal petto la cagion tu forse del nascosto suo male. – Ecco, ella viene; ch'io appellarla giá fea. Con lei lasciarti voglio; ritegno al favellar d'amanti fia sempre un padre. Or, prence, appien le svela l'alto tuo cor che ad ogni cor fa forza.
Ei con Peréo mi lascia?. Oh rio cimento! Vieppiú il cor mi si squarcia.
quel giorno al fin, quel che per sempre appieno far mi dovria felice, ove tu il fossi. Di nuzíal corona ornata il crine, lieto ammanto pomposo, è ver, ti veggo: ma il tuo volto, e i tuoi sguardi, e i passi, e ogni atto, mestizia è in te. Chi della propria vita t'ama piú assai, non può mirarti, o Mirra, a nodo indissolubile venirne in tale aspetto. È questa l'ora, è questa, che a te non lice piú ingannar te stessa, né altrui. Del tuo martír (qual ch'ella sia) o la cagion dei dirmi, o almen dei dirmi, che in me non hai fidanza niuna; e ch'io mal rispondo a tua scelta, e che pentita tu in cor ne sei. Non io di ciò terrommi offeso, no; ben di mortal cordoglio pieno ne andrò. Ma, che ti cale in somma il disperato duol d'uom che niente ami, e poco estimi? A me rileva or troppo il non farti infelice. – Ardita, e franca parlami, dunque. – Ma, tu immobil taci?. Disdegno e morte il tuo silenzio spira. Chiara è risposta il tuo tacer: mi abborri; e dir non l'osi. Or, la tua fe riprendi dunque: dagli occhi tuoi per sempre a tormi tosto mi appresto, poiché oggetto io sono d'orror per te. Ma, s'io pur dianzi l'era,
come mertai tua scelta? e s'io il divenni dopo, deh! dimmi; in che ti spiacqui?
L'amor tuo troppo il mio dolor ti pinge fero piú assai, ch'egli non è. L'accesa tua fantasia ti spigne oltre ai confini del vero. Io taccio al tuo parlar novello; qual maraviglia? inaspettate cose odo, e non grate; e, dirò piú, non vere: che risponder poss'io? – Questo alle nozze è il convenuto giorno; io presta vengo a compierle; e di me dubita intanto il da me scelto sposo? È ver, ch'io forse lieta non son, quanto il dovria chi raro sposo ottiene, qual sei: ma, spesse volte la mestizia è natura; e mal potrebbe darne ragion chi in se l'acchiude: e spesso quell'ostinato interrogar d'altrui, senza chiarirne il fonte, in noi l'addoppia.
T'incresco; il veggo a espressi segni. Amarmi, io sapea che nol puoi; lusinga stolta nell'infermo mio core entrata m'era, che tu almen non mi odiassi: in tempo ancora, per la tua pace e per la mia, mi avveggio ch'io m'ingannava. – In me non sta (pur troppo!) il far che tu non m'odj: ma in me solo sta, che tu non mi spregj. Omai disciolta, libera sei d'ogni promessa fede. Contro tua voglia invan l'attieni: astretta, non dai parenti, e men da me; da falsa vergogna, il sei. Per non incorrer taccia di volubil, tu stessa, a te nemica, vittima farti del tuo error vorresti: e ch'io lo soffra, speri? Ah! no. – Ch'io t'amo, e ch'io forse mertavati, tel debbo provare or, ricusandoti.
di vieppiú disperarmi. Ah! come lieta poss'io parer, se l'amor tuo non veggo mai di me pago, mai? Cagion poss'io assegnar di un dolor, che in me supposto è in gran parte? e che pur, se in parte è vero, origin forse altra non ha, che il nuovo stato a cui mi avvicino; e il dover tormi dai genitori amati; e il dirmi: «Ah! forse, non li vedrai mai piú;.» l'andarne a ignoto regno; il cangiar di cielo;. e mille e mille altri pensier, teneri tutti, e mesti; e tutti al certo, piú ch'a ogni altro, noti all'alto tuo gentile animo umano. – Io, data a te spontanea mi sono:
né men pento; tel giuro. Ove ciò fosse, a te il direi: te sovra tutti estimo: né asconder cosa a te potrei,. se pria non l'ascondessi anco a me stessa. Or prego; chi m'ama il piú, di questa mia tristezza il men mi parli, e svanirá, son certa. Dispregierei me stessa, ove pur darmi volessi a te, non ti apprezzando: e come non apprezzarti?. Ah! dir ciò ch'io non penso, nol sa il mio labro: e pur tel dice, e giura, ch'esser mai d'altri non vogl'io, che tua. Che ti poss'io piú dire?
potresti, e darmi vita, io non l'ardisco chiedere a te. Fatal domanda! il peggio fia l'averne certezza. – Or, d'esser mia non sdegni adunque? e non ten penti? e nullo indugio omai?.
sarò tua sposa. – Ma, doman le vele daremo ai venti, e lascerem per sempre dietro noi queste rive.
Come or sí tosto da te stessa affatto discordi? Il patrio suol, gli almi parenti, tanto t'incresce abbandonare; e vuoi ratta cosí, per sempre?.
Che ascolto? Il duol ti ha pur tradita;. e muovi sguardi e parole disperate. Ah! giuro, ch'io non sarò del tuo morir stromento; no, mai; del mio bensí.
mi tragge, è ver. Ma no, nol creder. – Ferma sto nel proposto mio. – Mentre ho ben l'alma al dolor preparata, assai men crudo mi fia il partir: sollievo in te.
io la cagione, io 'l son (benché innocente) della orribil tempesta, onde agitato, lacerato è il tuo core. – Omai vietarti sfogo non vo', col mio importuno aspetto. – Mirra, o tu stessa ai genitori tuoi mezzo alcun proporrai, che te sottragga a sí infausti legami; o udrai da loro oggi tu di Peréo l'acerba morte.
Deh! non andarne ai genitori. Ah! m'odi. Ei mi s'invola. – Oh ciel! che dissi? Ah! tosto ad Euricléa si voli: né un istante, io rimaner vo' sola con me stessa.
Ove sí ratti i passi tuoi rivolgi, o mia dolce figliuola?
Io da lungi osservandoti mi stava. Mai non ti posso abbandonare, il sai: e mel perdoni; spero. Uscir turbato quinci ho visto Peréo; te da piú grave dolore oppressa io trovo: ah! figlia; almeno liberamente il tuo pianto abbia sfogo entro il mio seno.
io posso teco, almeno pianger. Sento scoppiarmi il cor dal pianto rattenuto.
E in tale stato, o figlia, ognor venirne all'imenéo persisti?
ucciderammi, spero. Ma no; breve fia troppo il tempo;. ucciderammi poscia, ed in non molto. Morire, morire, null'altro io bramo;. e sol morire, io merto.
– Mirra, altre furie il giovenil tuo petto squarciar non ponno in sí barbara guisa, fuor che furie d'amor.
contro di me, no. Giá da gran tempo io 'l penso: ma, se tanto ti spiace, a te piú dirlo non mi ardirò. Deh! pur che almen tu meco la libertá del piangere conservi! Né so ben, ch'io mel creda; anzi, alla madre io fortemente lo negai pur sempre.
Che sento? oh ciel! ne sospettava forse anch'essa?.
in tanta doglia, la cagion non stima esserne amore? Ah! il tuo dolor pur fosse d'amor soltanto! alcun rimedio almeno vi avrebbe. – In questo crudel dubbio immersa giá da gran tempo io stando, all'ara un giorno
io ne venía della sublime nostra Venere diva; e con lagrime, e incensi, e caldi preghi, e invaso cor, prostrata innanzi al santo simulacro, il nome tuo pronunziava.
Venere?. Oh ciel!. contro di me. Lo sdegno della implacabil Dea. Che dico?. Ahi lassa!. Inorridisco,. tremo.
la Dea sdegnava i voti miei; gl'incensi ardeano a stento, e in giú ritorto il fumo sovra il canuto mio capo cadeva. Vuoi piú? gli occhi alla immagine tremanti alzar mi attento, e da' suoi piè mi parve con minacciosi sguardi me cacciasse, orribilmente di furore accesa, la Diva stessa. Con tremuli passi, inorridita, esco del tempio. Io sento dal terrore arricciarmisi di nuovo, in ciò narrar, le chiome.
rabbrividire, inorridir. Che osasti? Nullo omai de' celesti, e men la Diva terribil nostra, è da invocar per Mirra. Abbandonata io son dai Numi; aperto è il mio petto all'Erinni; esse v'han sole possanza, e seggio. – Ah! se riman pur l'ombra di pietá vera in te, fida Euricléa, tu sola il puoi, trammi d'angoscia: è lento, è lento troppo, ancor che immenso, il duolo.
di abbreviar miei mali. A poco, a poco strugger tu vedi il mio misero corpo; il mio languir miei genitori uccide; odíosa a me stessa, altrui dannosa, scampar non posso: amor, pietá verace, fia 'l procacciarmi morte; a te la chieggio.
Oh cielo!. a me?. Mi manca la parola,. la lena,. i sensi.
Di pietade magnanima capace il tuo senile petto io mal credea. Eppur, tu stessa, ne' miei teneri anni, tu gli alti avvisi a me insegnavi: io spesso udía da te, come antepor l'uom debba alla infamia la morte. Oimè! che dico?. – Ma tu non m'odi?. Immobil,. muta,. appena respiri! oh cielo!. Or, che ti dissi? io cieca dal dolore,. nol so: deh! mi perdona;
. Oh figlia! oh figlia!. A me la morte chiedi? La morte a me?
né che il dolor de' mali miei mi tolga di que' d'altrui pietade. – Estinta in Cipro non vuoi vedermi? in breve udrai tu dunque, ch'io né pur viva pervenni in Epíro.
Alle orribili nozze andarne invano presumi adunque. Ai genitori il tutto corro a narrar.
l'amor mio: deh! nol far; ten prego: in nome del tuo amor, ti scongiuro. – A un cor dolente sfuggon parole, a cui badar non vuolsi. – Bastante sfogo (a cui concesso il pari non ho giammai) mi è stato il pianger teco; e il parlar di mia doglia: in me giá quindi addoppiato è il coraggio. – Omai poch'ore mancano al nuzíal rito solenne: statti al mio fianco sempre: andiamo: e intanto, nel necessario alto proposto mio il vieppiú raffermarmi, a te si aspetta. Tu del tuo amor piú che materno, e a un tempo giovar mi dei del fido tuo consiglio. Tu dei far sí, ch'io saldamente afferri il partito, che solo orrevol resta.
Dubbio non v'ha; benché non sia per anco venuto a noi Peréo, scontento appieno fu dei sensi di Mirra. Ella non l'ama; certezza io n'ebbi; e andando ella a tai nozze, corre (pur troppo!) ad infallibil morte.
Or, per ultima prova, udiam noi stessi dal di lei labro il vero. In nome tuo ingiunger giá le ho fatto, che a te venga. Nessun di noi forza vuol farle, in somma: quanto l'amiamo, il sa ben ella, a cui non siam men cari noi. Ch'ella omai chiuda in ciò il suo core a noi, del tutto parmi impossibile; a noi, che di noi stessi, non che di se, la femmo arbitra e donna.
Ecco, ella viene: oh! mi par lieta alquanto; e piú franco il suo passo. Ah! pur tornasse qual era! al sol riapparirle in volto anco un lampo di gioja, in vita io tosto ritornata mi sento.
speranza e vita; inoltrati secura; e non temere il mio paterno aspetto, piú che non temi della madre. A udirti siam presti entrambi. Or, del tuo fero stato se disvelarne la cagion ti piace, vita ci dai; ma, se il tacerla pure piú ti giova o ti aggrada, anco tacerla, figlia, tu puoi; che il tuo piacer fia il nostro. Ad eternare il marital tuo nodo manca omai sola un'ora; il tien ciascuno per certa cosa: ma, se pur tu fossi cangiata mai; se t'increscesse al core la data fe; se la spontanea tua libera scelta or ti spiacesse; ardisci,
non temer cosa al mondo, a noi la svela. Non sei tenuta a nulla; e noi primieri te ne sciogliam, noi stessi; e, di te degno, generoso ti scioglie anco Peréo. Né di leggiera vorrem noi tacciarti: anzi, creder ci giova che maturi pensier novelli a ciò ti astringan ora. Da cagion vile esser non puoi tu mossa; l'indole nobil tua, gli alti tuoi sensi, e l'amor tuo per noi, ci è noto il tutto: di te, del sangue tuo cosa non degna, né pur pensarla puoi. Tu dunque appieno adempi il voler tuo; purché felice tu torni, e ancor di tua letizia lieti tuoi genitor tu renda. Or, qual ch'ei sia questo presente tuo voler, lo svela, come a fratelli, a noi.
né dal materno labro udisti mai piú amoroso, piú tenero, piú mite parlar, di questo.
che il tuo cor ci favelli: altro linguaggio non adopriam noi teco. – Or via; rispondi.
signor; padre son io: puoi tu chiamarmi con altro nome, o figlia?
parmi;. od almen, non tremerò piú omai, poiché ad udirmi or sí pietosi state. – L'unica vostra, e troppo amata figlia son io, ben so. Goder d'ogni mia gioja, e v'attristar d'ogni mio duol vi veggo; ciò stesso il duol mi accresce. Oltre i confini del natural dolore il mio trascorre; invan lo ascondo; e a voi vorrei pur dirlo,. ove il sapessi io stessa. Assai giá pria, ch'io fra 'l nobile stuol de' proci illustri Peréo scegliessi, in me cogli anni sempre
la fatal mia tristezza orridi era ita ogni dí piú crescendo. Irato un Nume, implacabile, ignoto, entro al mio petto si alberga; e quindi, ogni mia forza è vana contro alla forza sua. Credilo, o madre; forte, assai forte (ancor ch'io giovin sia) ebbi l'animo, e l'ho: ma il debil corpo, egro ei soggiace;. e a lenti passi in tomba andar mi sento. – Ogni mio poco e rado cibo, mi è tosco: ognor mi sfugge il sonno; o con fantasmi di morte tremendi, piú che il vegliar, mi dan martíro i sogni: né dí, né notte, io non trovo mai pace, né riposo, né loco. Eppur sollievo nessuno io bramo; e stimo, e aspetto, e chieggo, come rimedio unico mio, la morte. Ma, per piú mio supplicio, co' suoi lacci viva mi tien natura. Or me compiango, or me stessa abborrisco: e pianto, e rabbia, e pianto ancora. È la vicenda questa, incessante, insoffribile, feroce, in cui miei giorni infelici trapasso. – Ma che?. voi pur dell'orrendo mio stato piangete?. Oh madre amata!. entro il tuo seno ch'io, suggendo tue lagrime, conceda un breve sfogo anco alle mie!.
figlia, chi può non piangere al tuo pianto?.
Squarciare il cor mi sento da' suoi detti. Ma in somma pur, che far si dee?.
(deh! mel credete) in mio pensier non cadde mai di attristarvi, né di trarvi a vana pietá di me, coll'accennar mie fere non narrabili angosce. – Da che ferma, Peréo scegliendo, ebbi mia sorte io stessa, meno affannosa rimaner mi parve, da prima, è ver; ma, quanto poi piú il giorno del nodo indissolubil si appressava, vie piú forti le smanie entro al mio cuore ridestavansi; a tal, ch'io ben tre volte pregarvi osai di allontanarlo. In questi indugj io pur mi racquetava alquanto; ma, col scemar del tempo, ricrescea di mie Furie la rabbia. Oggi son elle, con mia somma vergogna e dolor sommo, giunte al lor colmo al fin: ma sento anch'oggi, che nel mio petto di lor possa han fatto l'ultima prova. Oggi a Peréo son io sposa, o questo esser demmi il giorno estremo.
Che sento?. Oh figlia!. E alle ferali nozze
Peréo non ami; e mal tuo grado, indarno, vuoi darti a lui.
o dammi tosto a morte. È ver, ch'io, forse, quanto egli me, non l'amo;. e ciò, neppure io ben mel so. Credi, ch'io assai lo estimo; e che null'uomo avrá mia destra al mondo, s'egli non l'ha. Caro al mio core, io spero, Peréo sará, quanto il debb'esser; seco vivendo io fida e indivisibil sempre, egli in me pace, io spero, egli in me gioja tornar fará: cara, e felice forse, un giorno ancor mi fia la vita. Ah! s'io finor non l'amo al par ch'ei merta, è colpa non di me, del mio stato; in cui me stessa prima abborrisco. Io l'ho pur scelto: ed ora, io di nuovo lo scelgo: io bramo, io chieggo lui solo. Oltre ogni dire, a voi gradita era la scelta mia: si compia or dunque, come il voleste, e come io 'l voglio, il tutto. Poiché maggior del mio dolore io sono, siatel pur voi. Quanto il potrò piú lieta, vengo in breve alle nozze: e voi, beati ve ne terrete un giorno.
tornar mi sento, in favellarvi. Appieno tornar, sí, posso di me stessa io donna, (ove il voglian gli Dei) pur che soccorso voi men prestiate.
io deggio. Udite. – Al travagliato petto, e alla turbata egra mia mente oppressa, alto rimedio or fia, di nuovi oggetti la vista; e in ciò il piú tosto, il miglior fia. L'abbandonarvi (oh ciel!) quanto a me costi, dir nol posso; il diranno le mie lagrime, quand'io darovvi il terribile addio: se il potrò pur, senza cadere,. o madre, infra tue braccia estinta. Ma, s'io pure lasciar vi posso, il dí verrá, che a questo generoso mio sforzo, e vita, e pace, e letizia dovrò.
parli? e il vuoi tosto; e in un lo temi e il brami? Ma qual fia mai?.
senza di te? Ben di Peréo tu poscia irne al padre dovrai; ma intanto pria lieta con noi qui lungamente ancora.
E s'io qui lieta esser per or non posso, vorreste voi qui pria morta vedermi, che felice sapermi in stranio lido? – Tosto, piú o meno, il mio destin mi chiama nella reggia d'Epíro: ivi pur debbo con Peréo dimorarmi. A voi ritorno faremo un dí, quando il paterno scettro Peréo terrá. Di molti figli e cari me lieta madre rivedrete in Cipro, se il concedono i Numi: e, qual piú a grado a voi sará tra i figli miei, sostegno vel lasceremo ai vostri anni canuti. Cosí a questo bel regno erede avrete del sangue vostro; poiché a voi negato prole han finor del miglior sesso i Numi. Voi primi allor benedirete il giorno, che partir mi lasciaste. – Al sol novello, deh! concedete, che le vele ai venti meco Peréo dispieghi. Io sento in cuore certo un presagio funesto, che dove il partir mi neghiate, (ahi lassa!) io preda in questa reggia infausta oggi rimango d'una invincibil sconosciuta possa: che a voi per sempre io sto per esser tolta. Deh! voi pietosi; o al mio presagio fero crediate; o, all'egra fantasia dolente cedendo, secondar piacciavi il mio errore. La mia vita, il mio destino, ed anco (oh cielo! io fremo) il destin vostro; dal mio partir, tutto, purtroppo! or pende.
Ma pur, quanto a te piace, appien si faccia. Qual ch'esser possa il mio dolor, pria voglio non piú vederti, che cosí vederti. – E tu, dolce consorte, in pianto muta ti stai?. Consenti al suo desio?
fossi almen certa, come (ahi trista!) il sono di viver sempre in sconsolato pianto!. Fosse almen vero un dí l'augurio fausto, che dei cari nepoti ella ne accenna!. Ma, poiché tale il suo strano pensiero, pur ch'ella viva, seguasi.
madre, or mi dai per la seconda volta. Presta alle nozze io son fra un'ora. Il tempo vel proverá, s'io v'ami; ancor che lieta io di lasciarvi appaia. – Or mi ritraggo a mie stanze, per poco: asciutto affatto recar vo' il ciglio all'ara; e al degno sposo venir gradita con serena fronte.
di vederla ogni giorno piú infelice, no, non mi basta il core. Invan l'opporci.
Oh sposo!. io tremo, che ai nostri occhi appena toltasi, il fero suo dolor la uccida.
Ai detti, agli atti, ai guardi, anco ai sospiri, par che la invasi orribilmente alcuna sovrumana possanza.
cruda implacabil Venere, le atroci tue vendette. Scontare, ecco, a me fai, in questa guisa, il mio parlar superbo. Ma, la mia figlia era innocente; io sola, l'audace io fui; la iniqua, io sola.
Odi il mio fallo, o Ciniro. – In vedermi moglie adorata del piú amabil sposo, del piú avvenente infra i mortali, e madre per lui d'unica figlia (unica al mondo per leggiadria, beltá, modestia, e senno) ebra, il confesso, di mia sorte, osava negar io sola a Venere gl'incensi. Vuoi piú? folle, orgogliosa, a insania tanta (ahi sconsigliata!) io giunsi, che dal labro io sfuggir mi lasciava; che piú gente tratta è di Grecia e d'Oríente omai dalla famosa alta beltá di Mirra, che non mai tratta per l'addietro in Cipro dal sacro culto della Dea ne fosse.
Mirra piú pace non aver; sua vita, e sua beltá, qual debil cera al fuoco, lentamente distruggersi; e niun bene non v'esser piú per noi. Che non fec'io,
per placar poi la Dea? quanti non porsi e preghi, e incensi, e pianti? indarno sempre.
Mal festi, o donna; e fu il tacermel, peggio. Padre innocente appieno, io co' miei voti forse acquetar potea l'ira celeste: e forse ancor (spero) il potrò. – Ma intanto, io pur di Mirra or nel pensier concorro: ben forza è torre, e senza indugio nullo, da quest'isola sacra il suo cospetto. Chi sa? seguirla in altre parti forse l'ira non vuol dell'oltraggiato Nume: e quindi forse la infelice figlia, tal sentendo presagio ignoto in petto, tanto il partir desia, tanto ne spera. – Ma, vien Peréo: ben venga: ei sol serbarci può la figlia, col torcela.
Tardo, tremante, irresoluto, e pieno di mortal duol, voi mi vedete. Un fero contrasto è in me: pur, gentilezza, e amore vero d'altrui, non di me stesso, han vinto. Men costerá la vita. Alto non duolmi, che il non poter, con util vostro almeno, spenderla omai: ma l'adorata Mirra a morte io trarre, ah! no, non voglio. Il nodo fatal si rompa; e de' miei giorni a un tempo rompasi il filo.
di tal nome; e il sarai tra breve, io spero. Noi, dopo te, noi pure i sensi udimmo di Mirra: io seco, qual verace padre, tutto adoprai perch'ella appien seguisse il suo libero intento: ma, piú salda, che all'aure scoglio, ella si sta: te solo e vuole, e chiede; e teme, che a lei tolto sii tu. Cagion del suo dolore addurne ella stessa non sa: l'egra salute, che l'effetto pria n'era, omai n'è forse la cagion sola. Ma il suo duol profondo merta, qual ch'egli sia, pietá pur molta; né sdegno alcuno in te destar debb'ella, piú che ne desti in noi. Sollievo dolce tu del suo mal sarai: d'ogni sua speme l'amor tuo forte, è base. Or, qual vuoi prova maggior di questa? al nuovo dí lasciarci (noi, che l'amiam pur tanto!) ad ogni costo
vuole ella stessa; e per ragion ne assegna, l'esser piú teco, il divenir piú tua.
Creder, deh, pure il potess'io! ma appunto questo partir sí subito. Oimè! tremo, che in suo pensier disegni ella stromento della sua morte farmi.
noi l'affidiamo: il vuole oggi il destino. Pur troppo qui, su gli occhi nostri, morta cadria, se ostare al suo voler piú a lungo cel sofferisse il core. In giovin mente grande ha possanza il varíar gli oggetti. Ogni tristo pensier deponi or dunque; e sol ti adopra in lei vieppiú far lieta. La tua pristina gioja in volto chiama; e, col non mai del suo dolor parlarle, vedrai che in lei presso a finir fia 'l duolo.
Creder dunque poss'io, creder davvero, che non mi abborre Mirra?
creder, deh! sí. Qual ti parlassi io dianzi, rimembra; or son dal suo parlar convinto, che, lungi d'esser de' suoi lai cagione, suo sol rimedio ella tue nozze estima. Dolcezza assai d'uopo è con essa; e a tutto piegherassi ella. Vanne; e a lieta pompa disponti in breve; e in un (pur troppo!) il tutto, per involarci al nuovo sol la figlia, anco disponi. Del gran tempio all'ara, a Cipro tutta in faccia andar non vuolsi; che il troppo lungo rito al partir ratto ostacol fora. In questa reggia, gl'inni d'Imenéo canteremo.
tornato m'hai. Volo; a momenti io riedo.
Sí; pienamente in calma omai tornata, cara Euricléa, mi vedi; e lieta, quasi, del mio certo partire.
Sola ne andrai col tuo Peréo?. né trarti al fianco vuoi, non una pur di tante tue fide ancelle? E me da lor non scerni, che neppur me tu vuoi?. Di me che fia, se priva io resto della dolce figlia? Solo in pensarvi, oimè! morir mi sento.
il voglia il cielo! Oh figlia amata!. Ah! tale durezza in te, no, non creda: sperato avea pur sempre di morirmi al tuo fianco.
S'io meco alcun di questa reggia trarre acconsentir poteva, eri tu sola, quella ch'io chiesta avrei. Ma, in ciò son salda.
dai genitor ne ottenni; e scior vedrammi da questo lido la nascente aurora.
Deh! ti sia fausto il dí!. Pur ch'io felice almen ti sappia!. Ella è ben cruda gioja, questa che quasi ora in lasciarci mostri. Pur, se a te giova, io piangerò, ma muta con la dolente genitrice.
muovi tu assalto al mio mal fermo cuore?. Perché sforzarmi al pianto?.
celar poss'io?. Quest'è l'ultima volta, ch'io ti vedo, e ti abbraccio. D'anni molti carca me lasci, e di dolor piú assai. Al tuo tornar, se pur mai riedi, in tomba mi troverai: qualche lagrima, spero,. alla memoria. della tua Euricléa. almen darai.
o taci almeno. – Io tel comando; taci Essere omai per tutti dura io deggio; ed a me prima io 'l sono. – È giorno questo di gioja e nozze. Or, se tu mai mi amasti,
aspra ed ultima prova oggi ten chieggo; frena il tuo pianto,. e il mio. – Ma, giá lo sposo venirne io veggio. Ogni dolor sia muto.
D'inaspettata gioja hammi ricolmo, Mirra, il tuo genitore: ei stesso, lieto, il mio destin, ch'io tremando aspettava, annunziommi felice. Ai cenni tuoi preste saranno al nuovo albór mie vele, poiché tu il vuoi cosí. Piacemi almeno, che vi acconsentan placidi e contenti i genitori tuoi: per me non altra gioja esser può, che di appagar tue brame.
Sí, dolce sposo; ch'io giá tal ti appello; se cosa io mai ferventemente al mondo bramai, di partir teco al nuovo sole tutta ardo, e il voglio. Il ritrovarmi io tosto sola con te; non piú vedermi intorno nullo dei tanti oggetti a lungo stati testimon del mio pianto, e cagion forse; il solcar nuovi mari, e a nuovi regni irne approdando; aura novella e pura respirare, e tuttor trovarmi al fianco pien di gioja e d'amore un tanto sposo; tutto, in breve, son certa, appien mi debbe quella di pria tornare. Allor sarotti meno increscevol, spero. Aver t'è d'uopo pietade intanto alcuna del mio stato; ma, non fia lunga; accertati. Il mio duolo, se tu non mai men parli, in breve svelto fia da radice. Deh! non la paterna lasciata reggia, e non gli orbati e mesti miei genitor; né cosa, in somma, alcuna delle giá mie, tu mai, né rimembrarmi dei, né pur mai nomarmela. Fia questo rimedio, il sol, che asciugherá per sempre il mio finor perenne orribil pianto.
Strano, inaudito è il tuo disegno, o Mirra: deh! voglia il ciel, ch'ei non t'incresca un giorno! – Pur, benché in cor lusinga omai non m'entri d'esserti caro, in mio pensier son fermo di compier ciecamente ogni tua brama. Ove poi voglia il mio fatal destino, ch'io mai non merti l'amor tuo, la vita che per te sola io serbo (questa vita, cui tolta io giá di propria man mi avrei, s'oggi perderti affatto erami forza)
questa mia vita per sempre consacro al tuo dolore, poiché a ciò mi hai scelto. A pianger teco, ove tu il brami; a farti, tra giuochi e feste, il tuo cordoglio e il tempo ingannar, se a te giova; a porre in opra, a prevenir tutti i desiri tuoi; a mostrarmiti ognor, qual piú mi vogli, sposo, amico, fratello, amante, o servo; ecco, a quant'io son presto: e in ciò soltanto la mia gloria fia posta e l'esser mio. Se non potrai me poscia amar tu mai, parmi esser certo, che odiarmi almeno neppur potrai.
Mirra e te stesso in un conosci e apprezza. Alle tante tue doti amor sí immenso v'aggiungi tu, che di ben altro oggetto, ch'io nol son, ti fa degno. Amor sue fiamme porrammi in cor, tosto che sgombro ei l'abbia dal pianto appieno. Indubitabil prova abbine, ed ampia, oggi in veder ch'io scelgo d'ogni mio mal te sanator pietoso; ch'io stimo te, ch'io ad alta voce appello, Peréo, te sol liberator mio vero.
D'alta gioja or m'infiammi: il tuo bel labro tanto mai non mi disse: entro al mio core stanno in note di fuoco omai scolpiti questi tuoi dolci accenti. – Ecco venirne giá i sacerdoti, e la festosa turba, e i cari nostri genitori. O sposa, deh! questo istante a te davver sia fausto, come il piú bello è a me del viver mio!
SACERDOTI, CORO DI FANCIULLI, DONZELLE, E VECCHI;
CINIRO, CECRI, POPOLO, MIRRA, PERÉO, EURICLÉA.
Amati figli, augurio lieto io traggo dal vedervi precedere a noi tutti, al sacro rito. In sul tuo viso è sculta, Peréo, la gioja; e della figlia io veggo fermo e sereno anco l'aspetto. I Numi certo abbiamo propizj. – In copia incensi fumino or dunque in su i recati altari; e, per far vie piú miti a noi gli Dei, schiudasi il canto; al ciel rimbombin grati devoti inni vostri alti-sonanti.
(1) Ove il coro non cantasse, precederá ad ogni stanza una breve sinfonia adattata alle parole, che stanno per recitarsi poi.
«fratel d'Amor, dolce Imenéo, bel Nume; «deh! fausto scendi; = e del tuo puro lume «fra i lieti sposi accendi «fiamma, cui nulla estingua, altro che morte. –
«Benigno a noi, lieto Imenéo, deh! vola
«e co' suoi stessi inganni «a lui tu l'arco, = e la farétra invola:
«ma scendi scarco «di sue lunghe querele e tristi affanni: –
«de' nodi tuoi, bello Imenéo giocondo, «stringi la degna coppia unica al mondo».
«o tra le Dive Diva, «alla cui possa nulla possa è viva; «Venere, deh! fausta agli sposi arridi «dalle olimpiche cime, «se sacri mai ti fur di Cipro i lidi.
«Tutta è tuo don questa beltá sovrana,
«lasciarci in terra la tua immagin vera «piacciati, deh! col farla allegra e sana,
«e madre in breve di sí nobil prole, «che il padre, e gli avi, e i regni lor, console. –
«Alma Dea, per l'azzurre aure del cielo,
«coi be' nitidi cigni al carro aurato, «raggiante scendi; abbi i duo figli a lato; «e del bel roseo velo «gli sposi all'ara tua prostráti ammanta; «e in due corpi una sola alma traspianta».
Figlia, deh! sí; della possente nostra Diva, tu sempre umíl. Ma che? ti cangi tutta d'aspetto?. Oimè! vacilli? e appena su i piè tremanti?.
non cimentar la mia costanza, o madre: del sembiante non so;. ma il cor, la mente, salda stommi, immutabile.
la veggo in volto?. Oh qual tremor mi assale! –
«abbian lor templo degli sposi in petto; «e indarno sempre la infernale Aletto, «con le orribil suore,
«assalto muova di sue negre tede «al forte intatto core «dell'alta sposa, = che ogni laude eccede: «e, invan rabbiosa, «se stessa roda la feral Discordia.»
Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte le Furie ho in me tremende. Eccole; intorno col vipereo flagello e l'atre faci stan le rabide Erinni: ecco quai merta questo imenéo le faci.
Chi al sen mi stringe? Ove son io? Che dissi? Son io giá sposa? Oimè!.
Mirra; né mai tu di Peréo, tel giuro, sposa sarai. Le agitatrici Erinni, minori no, ma dalle tue diverse, mi squarcian pure il cuore. Al mondo intero favola omai mi festi; ed a me stesso piú insoffribil, che a te: non io per tanto farti voglio infelice. Appien tradita, mal tuo grado, ti sei: tutto traluce invincibile tuo lungo ribrezzo, che per me nutri. Oh noi felici entrambi, che ti tradisti in tempo! Omai disciolta sei dal richiesto ed abborrito giogo. Salva, e libera, sei. Per sempre io tolgo dagli occhi tuoi quest'odíoso aspetto. Paga e lieta vo' farti. Infra brev'ora, qual resti scampo a chi te perde, udrai.
Contaminato è il rito; ogni solenne pompa omai cessi, e taccian gl'inni. Altrove itene intanto, o sacerdoti. Io voglio, (misero padre!) almen pianger non visto.
Mirra piú presso a morte assai, che a vita, stassi: il vedete, ch'io a stento la reggo? Oh figlia!.
costei si lasci, e alle sue furie inique. Duro, crudel, mal grado mio, mi ha fatto con gl'inauditi modi suoi: pietade piú non ne sento. Ella, all'altar venirne, contra il voler dei genitori quasi, ella stessa il voleva: e sol, per trarci a tal nostr'onta e sua?. Pietosa troppo, delusa madre, lasciala: se pria noi severi non fummo, è giunto il giorno d'esserlo al fine.
inesorabil sia; null'altro io bramo; null'altro io voglio. Ei terminar può solo d'una infelice sua figlia non degna i martír tutti. – Entro al mio petto vibra quella che al fianco cingi ultrice spada: tu questa vita misera, abborrita, davi a me giá; tu me la togli: ed ecco l'ultimo dono, ond'io ti prego. Ah! pensa; che se tu stesso, e di tua propria mano, me non uccidi, a morir della mia omai mi serbi, ed a null'altro.
Oh parole!. Oh dolor!. Deh! tu sei padre; padre tu sei;. perchè innasprirla?. Or forse non è abbastanza misera?. Ben vedi, mal di se stessa è donna; ad ogni istante fuor di se stessa è dal dolore.
Figlia,. e non m'odi?. Parlar,. pel gran pianto,. non posso.
non reggo. Ah! sí, padre pur troppo io sono; e di tutti il piú misero. Mi sforza giá, piú che l'ira, or la pietá. Mi traggo a pianger solo altrove. Ah! voi sovr'essa vegliate intanto. – In se tornata, in breve, ella udrá poscia favellarle il padre.
Buona Euricléa, con lei lasciami sola; parlarle voglio.
ei di uccidermi niega?. Deh! pietosa dammi tu, madre, un ferro; ah! sí; se l'ombra pur ti riman per me d'amore, un ferro, senza indugiar, dammi tu stessa. Io sono in senno appieno; e ciò ch'io dico, e chieggo, so quanto importi: al senno mio, deh! credi; n'è tempo ancor: ti pentirai, ma indarno, del non mi aver d'un ferro oggi soccorsa.
Diletta figlia,. oh ciel!. tu, pel dolore, certo vaneggi. Alla tua madre mai non chiederesti un ferro. – Or, piú di nozze non si favelli: uno inaudito sforzo quasi pur troppo a compierle ti trasse; ma, piú di te potea natura; i Numi io ne ringrazio assai. Tu fra le braccia della dolce tua madre starai sempre: e se ad eterno pianto ti condanni, pianger io teco eternamente voglio, né mai, né d'un sol passo, mai lasciarti: sarem sol'una; e del dolor tuo stesso, poich'ei da te partir non vuolsi, anch'io vestirmi vo'. Piú suora a te, che madre, spero, mi avrai. Ma, oh ciel! che veggio? O figlia,. meco adirata sei?. me tu respingi?. e di abbracciarmi nieghi? e gl'infuocati sguardi?. Oimè! figlia,. anco alla madre?.
dolor mi accresce anco il vederti: il cuore, nell'abbracciarmi tu, vieppiú mi squarci. – Ma. oimè!. che dico?. Ahi madre!. Ingrata, iniqua, figlia indegna son io, che amor non merto. Al mio destino orribile me lascia;. o se di me vera pietá tu senti, io tel ridico, uccidimi.
ucciderei, s'io perderti dovessi: ahi cruda! e puoi tu dirmi, e replicarmi cosí acerbe parole? – Anzi, vo' sempre d'ora in poi sul tuo viver vegliar io.
Tu vegliare al mio vivere? ch'io deggia, ad ogni istante, io rimirarti? innanzi agli occhi miei tu sempre? ah! pria sepolti voglio in tenebre eterne gli occhi miei: con queste man mie stesse, io stessa pria me li vo' sverre, io, dalla fronte.
che ascolto?. Oh ciel!. Rabbrividir mi fai. Me dunque abborri?.
Io la cagion?. Ma giá il tuo pianto a rivi.
Deh! perdonami; deh!. Non io favello; una incognita forza in me favella. Madre, ah! troppo tu m'ami; ed io.
fosti, nel dar vita ad un'empia; e il sei, s'or di tormela nieghi; or, ch'io ferventi prieghi ten porgo. Ancor n'è tempo; ancora sono innocente, quasi. – Ma,. non regge a tante furie. il languente. mio. corpo. mancano i piè,. mancano. i sensi.
trarti alle stanze tue. D'alcun ristoro d'uopo hai, son certa; dal digiun tuo lungo nasce in te il vaneggiare. Ah! vieni; e al tutto in me ti affida: io vo' servirti, io sola.
Oh sventurato, oh misero Peréo! Troppo verace amante!. Ah! s'io piú ratto al giunger era, il crudo acciaro forse tu non vibravi entro al tuo petto. – Oh cielo! che dirá l'orbo padre? ei lo attendeva sposo, e felice; ed or di propria mano estinto, esangue corpo, innanzi agli occhi ei recar sel vedrá. – Ma, sono io padre men di lui forse addolorato? è vita quella, a cui resta, infra sue furie atroci, la disperata Mirra? è vita quella, a cui l'orrido suo stato noi lascia? – Ma, udirla voglio: e giá di ferreo usbergo armato ho il core. Ella ben merta (e il vede) il mio sdegno; ed in prova, al venir lenta mostrasi: eppur, dal terzo messo ella ode giá il paterno comando. – Orribil certo, e rilevante arcano havvi nascoso in questi suoi travagli. O il vero udirne dal di lei labro io voglio, o mai non voglio, mai piú, vederla al mio cospetto innante. Ma, (oh ciel!) se forza di destino, ed ira di offesi Numi a un lagrimar perenne la condanna innocente, aggiunger deggio l'ira d'un padre a sue tante sventure? E abbandonata, e disperata, a lunga morte lasciarla?. Ah! mi si spezza il core. Pure, il mio immenso affetto, in parte almeno, ora è mestier, ch'io per la prova estrema, le asconda. In suon di sdegno ella finora mai non mi udia parlarle: il cor sí saldo, no, donzella non ha, che incontro basti al non usato minacciar del padre. – Eccola al fine. – Oimè! come si avanza a tardi passi, e sforzati! Par, ch'ella al mio cospetto a morire sen venga.
– Mirra, che nulla tu il mio onor curassi, creduto io mai, no, non l'avrei; convinto
me n'hai (pur troppo!) in questo dí fatale a tutti noi: ma, che ai comandi espressi, e replicati del tuo padre, or tarda all'obbedir tu sii, piú nuovo ancora questo a me giunge.
signor, tu solo. Io de' miei gravi,. e tanti falli. la pena. a te chiedeva,. io stessa,. or dianzi,. qui. – Presente era la madre;. deh! perché allor. non mi uccidevi?.
tempo ormai, sí, di cangiar modi, o Mirra. Disperate parole indarno muovi; e disperati, e in un tremanti, sguardi al suolo affissi indarno. Assai ben chiara in mezzo al dolor tuo traluce l'onta; rea ti senti tu stessa. Il tuo piú grave fallo, è il tacer col padre tuo: lo sdegno quindi appien tu ne merti; e che in me cessi l'immenso amor, che all'unica mia figlia io giá portai. – Ma che? tu piangi? e tremi? e inorridisci?. e taci? – A te fia dunque l'ira del padre insopportabil pena?
favola hai fatto i genitori tuoi, quanto te stessa, coll'infausto fine che alle da te volute nozze hai posto. Giá l'oltraggio tuo crudo i giorni ha tronchi del misero Peréo.
Peréo, sí, muore; e tu lo uccidi. Uscito del nostro aspetto appena, alle sue stanze solo, e sepolto in un muto dolore, ei si ritrae: null'uomo osa seguirlo. Io, (lasso me!) tardo pur troppo io giungo. Dal proprio acciaro trafitto, ei giacea entro un mare di sangue: a me gli sguardi pregni di pianto e di morte inalzava;. e, fra i singulti estremi, dal suo labro usciva ancor di Mirra il nome. – Ingrata.
Deh! piú non dirmi. Io sola, io degna sono, di morte. E ancor respiro?.
dell'infelice padre di Peréo, io che son padre ed infelice, io solo sentir lo posso: io 'l so, quanto esser debba lo sdegno in lui, l'odio, il desio di farne aspra su noi giusta vendetta. – Io quindi, non dal terror dell'armi sue, ma mosso dalla pietá del giovinetto estinto,
voglio, qual de' padre ingannato e offeso, da te sapere (e ad ogni costo io 'l voglio) la cagion vera di sí orribil danno. – Mirra, invan me l'ascondi: ah! ti tradisce ogni tuo menom'atto. – Il parlar rotto; lo impallidire, e l'arrossire; il muto sospirar grave; il consumarsi a lento fuoco il tuo corpo; e il sogguardar tremante; e il confonderti incerta; e il vergognarti, che mai da te non si scompagna:. ah! tutto, sí tutto in te mel dice, e invan tu il nieghi;. son figlie in te le furie tue. d'amore.
Io?. d'amor?. Deh! nol credere. T'inganni.
Piú il nieghi tu, piú ne son io convinto. E certo in un son io (pur troppo!) omai, ch'esser non puote altro che oscura fiamma, quella cui tanto ascondi.
Non vuoi col brando uccidermi;. e coi detti. mi uccidi intanto.
che amor non senti? E dirmelo, e giurarlo anco ardiresti, io ti terria spergiura. – Ma, chi mai degno è del tuo cor, se averlo non potea pur l'incomparabil, vero, caldo amator, Peréo? – Ma, il turbamento cotanto è in te;. tale il tremor; sí fera la vergogna; e in terribile vicenda, ti si scolpiscon sí forte sul volto; che indarno il labro negheria.
farmi. al tuo aspetto. morir. di vergogna?. E tu sei padre?
troncarli vuoi, di un genitor che t'ama piú che se stesso, con l'inutil, crudo, ostinato silenzio? – Ancor son padre: scaccia il timor; qual ch'ella sia tua fiamma, (pur ch'io potessi vederti felice!) capace io son d'ogni inaudito sforzo per te, se la mi sveli. Ho visto, e veggo tuttor, (misera figlia!) il generoso contrasto orribil, che ti strazia il core infra l'amore, e il dover tuo. Giá troppo festi, immolando al tuo dover te stessa: ma, piú di te possente, Amor nol volle. La passíon puossi escusare; ha forza piú assai di noi; ma il non svelarla al padre, che tel comanda, e ten scongiura, indegna d'ogni scusa ti rende.
cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda sempre sarai?.
l'animo acqueta: se non vuoi sdegnato contra te piú vedermi, io giá nol sono piú quasi omai; purché tu a me favelli. Parlami deh! come a fratello. Anch'io conobbi amor per prova: il nome.
Amo, sí; poiché a dirtelo mi sforzi; io disperatamente amo, ed indarno. Ma, qual ne sia l'oggetto, né tu mai, né persona il saprá: lo ignora ei stesso. ed a me quasi io 'l niego.
e deggio, e voglio. Né a te stessa cruda esser tu puoi, che a un tempo assai nol sii piú ai genitori che ti adoran sola. Deh! parla; deh! – Giá, di crucciato padre, vedi ch'io torno e supplice e piangente: morir non puoi, senza pur trarci in tomba. – Qual ch'ei sia colui ch'ami, io 'l vo' far tuo. Stolto orgoglio di re strappar non puote il vero amor di padre dal mio petto. Il tuo amor, la tua destra, il regno mio, cangiar ben ponno ogni persona umíle in alta e grande: e, ancor che umíl, son certo, che indegno al tutto esser non può l'uom ch'ami. Te ne scongiuro, parla: io ti vo' salva, ad ogni costo mio.
Questo stesso tuo dir mia morte affretta. Lascia, deh! lascia, per pietá, ch'io tosto da te. per sempre. il piè. ritragga.
unica amata; oh! che di' tu? Deh! vieni fra le paterne braccia. – Oh cielo! in atto di forsennata or mi respingi? Il padre dunque abborrisci? e di sí vile fiamma ardi, che temi.
ove primiero il genitor tuo stesso non la condanna, ella non fia: la svela.
Raccapricciar d'orror vedresti il padre, se la sapesse. Ciniro.
Che dico?. ahi lassa!. non so quel ch'io dica. Non provo amor. Non creder, no. Deh! lascia, te ne scongiuro per l'ultima volta,
col disperarmi co' tuoi modi, e farti del mio dolore gioco, omai per sempre perduto hai tu l'amor del padre.
fera orribil minaccia!. Or, nel mio estremo sospir, che giá si appressa,. alle tante altre furie mie l'odio crudo aggiungerassi del genitor?. Da te morire io lungi?. Oh madre mia felice!. almen concesso a lei sará. di morire. al tuo fianco.
Che vuoi tu dirmi?. Oh! qual terribil lampo, da questi accenti!. Empia, tu forse?.
che dissi io mai?. Me misera!. Ove sono? Ove mi ascondo?. Ove morir? – Ma il brando tuo mi varrá.(2)
Ecco,. or. tel rendo. Almen la destra io ratta ebbi al par che la lingua.
e d'orror pieno, e d'ira,. e di pietade, immobil resto.
presso al morire. Io vendicarti. seppi,. e punir me. Tu stesso, a viva forza, l'orrido arcano. dal cor. mi strappasti. ma, poiché sol colla mia vita. egli esce. dal labro mio,. men rea. mi moro.
Oh delitto!. Oh dolore! – A chi il mio pianto?.
Deh! piú non pianger;. ch'io nol merto. Ah! sfuggi mia vista infame;. e a Cecri. ognor. nascondi.
Padre infelice!. E ad ingojarmi il suolo non si spalanca?. Alla morente iniqua donna appressarmi io non ardisco;. eppure, abbandonar la svenata mia figlia non posso.
(2) Rapidissimamente avventatasi al brando del padre, se ne trafigge.
(3) Corre incontro a Cecri, e impedendole d’inoltrarsi, le toglie la vista di Mirra morente.
Ahi vista! nel suo sangue a terra giace Mirra?.
Inorridisci. Vieni. Ella. trafitta, di propria man, s'è col mio brando.
non c'è costei. D'infame orrendo amore ardeva ella per. Ciniro.
darmi. allora,. Euricléa, dovevi il ferro. io moriva. innocente;. empia. ora. muojo.
Tizzi Raffaella1, Accorsi Pier Attilio2, Zordan Silvia1 and Severi Carlotta1(1) Delfinario Rimini, Lungomare Tintori 2, 47900 Rimini (Italy) – raftizzi@tin.it(2) Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli Studi di Bologna,via Tolara di Sopra, 40064 Ozzano Emilia (BO) (Italy) - pierattilio.accorsi@unibo.itA significant correlation between
Coronary bypass and nutritional care post surgery Coronary heart disease Coronary heart disease is characterized by a narrowing of the arteries that supply blood to the heart. Fatty deposits (rich in cholesterol) stick to the artery walls, causing thickened patches called plaques to develop (atherosclerosis). These plaques narrow the arteries and reduce the flow of blood to the heart mu