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IL BUON SCORRERE DELLA VITA.
La felicità come fine etico supremo
dentro il sistema dello stoicismo antico

Emidio Spinelli
Invitato a riflettere sul tema “Il concetto di felicità nella filosofia antica: dentro il s i s t e m a ? ” , mi sono trovato di fronte a un difficile bivio. Da una parte il pri m i s s i m opensiero è andato alla complessa e storicamente proficua trattazione dedicata da Ari-stotele al tema della vita felice soprattutto nelle Etiche. È infatti innegabile, in primol u ogo , che la pro fondità dell’ap p roccio aristotelico riesce ancor oggi a stimolare ri-flessioni e considera z i o n i , che hanno un peso importante nel dibattito attuale sulle con-dizioni che dov rebb e ro ga ra n t i re il successo etico dei soggetti mora l i1. Si potrebb einoltre aggiungere - a ragione, credo - che già gli immediati sviluppi della riflessionesul fine ultimo del nostro agi re in età ellenistica altro non abbiano fatto che fo rn i re ri-sposte e soluzioni dive rs e, ma pur sempre inscrivibili nella ge n e rale tendenza eudai-monistica tipica dell’etica antica, a una fondamentale esige n z a , e s p ressa pro p rio daAristotele sin dalle pagine di apertura della sua Etica Nicomachea: Se quindi vi è un fine di ciò che fa c c i a m o , che desideriamo a causa di esso stes-so, e desideriamo le altre cose a causa di questo, e non scegliamo ogni cosa acausa di altro - infatti se si facesse così si andrebbe all’infinito, di modo che ildesiderio sarebbe vuoto e inutile - è chiaro che quello viene a essere il bene ela cosa migliore. A l l o ra la sua conoscenza non avrà fo rse un grande peso perle nostre scelte di vita, e, come arcieri cui è dato un bersaglio, non verremo ac og l i e re meglio ciò che ci spetta fa re? Se è così, ci si deve sfo r z a re di com-prenderlo nelle sue linee principali, cosa mai esso sia, e di quale scienza o ca-pacità sia oggetto. (…) Ora per quanto riguarda il nome vi è un accordo quasicompleto nella maggioranza: sia la massa che le persone raffinate dicono chesi chiama ‘ fe l i c i t à ’ , e credono che vive re bene (eu ze n) e ave re successo (e up rat t e i n) siano la stessa cosa che essere felici. Ma su cosa sia la fe l i c i t à , vi èdisaccordo, e la massa non la intende allo stesso modo dei sapienti (…)2.
Nonostante la centralità e l’influenza indubbiamente at t ri buibili su un arco tem- p o rale lungo e fi l o s o ficamente signifi c at ivo alle pagine ari s t o t e l i che re l at ive alla iden-tificazione del telos con la felicità, però, ho preferito infine optare per un sentiero di-ve rso. La necessità e la volontà di delineare il quadro di una risposta antica, che na- scesse e si sviluppasse soprattutto ‘dentro il sistema’, mi hanno infatti indotto a spo- s e m p re coincidenti - per descrive re l’interconnessione delle ‘ d i s c i p l i n e ’a l l ’ i n t e rno del stare la mia attenzione proprio verso le cosiddette filosofie ellenistiche e più in parti- c o l a re ve rso la dottrina stoica, ov ve ro ve rso quello che considero l’ap p roccio in asso- Gli Stoici paragonano la fi l o s o fia ad un essere vive n t e : alle ossa ed ai nervi cor- luto più sistematico al tema della felicità prodotto nell’ambito della filosofia antica3.
risponde la Logi c a , alle parti carnose l’Etica, all’anima la Fisica. Oppure la pa- Non voglio con questo negare che anche la visione aristotelica possa essere letta ragonano ad un uovo : la parte estern a , il guscio, è la Logi c a , la parte seg u e n t e, e interp re t ata in termini fo rtemente sistematici. Credo si debba però conve n i re su di il bianco, è l’Etica, la parte più interna, il tórlo, è la Fisica. Oppure la parago- un fatto. Mentre all’interno della filosofia aristotelica si muovono - per usare la felice nano ad un fertile campo: la siepe esterna è la Logica, il frutto è l’Etica, la ter- espressione di Enrico Berti - diverse ‘ragioni’, ciascuna rispondente a un modello di ra o gli alberi la Fisica. Oppure la paragonano ad una città ben munita di mu- razionalità non certo dive rso né escl u s ivo , ma comunque complementare rispetto ag l i ra e razionalmente amministrata. E nessuna parte è sep a rata dall’altra , c o m e altri messi in campo per dar conto dei vari piani del reale di volta in volta esaminati4, pur dicono alcuni Stoici, ma sono tutte piuttosto strettamente congiunte fra lo- uno e uno solo è il l ogo s, che per gli Stoici abb raccia in inscindibile unità tutti gli aspet- ro. A n che l’insegnamento ve n iva trasmesso congiuntamente e non sep a rat a- ti di quell’organismo ordinato e perfetto che è il cosmo. È proprio questa caratteristi- m e n t e. A l t ri danno il primo posto alla Logi c a , il secondo alla Fi s i c a , il terzo al- ca di omogeneità - insieme metafi s i c a , l egata alla costituzione della realtà; logi c o - ep i- s t e m o l ogi c a , d e t t ata dalla razionalità degli strumenti che servono a interp re t a rla; edetica, frutto di una serena accettazione delle norme del tutto - che consente di consi- A parte i problemi dossografici o di dissonanza interna allo stoicismo che questo derare la dottrina stoica come un campo di indagine privilegiato, per chiunque debba passo pure solleva8, mi sembra evidente un dato di fondo, confermato anche da Sesto indagare sì un concetto o un tema specificamente morale, ma nell’ottica di riferimen- E m p i ri c o , a l t ra fonte importante del pensiero stoico: “le parti della fi l o s o fia non si pos- sono sep a ra re l’una dall’altra ” , a nessun livello e da nessun punto di vista9. Al di là Permettetemi allora, prima di entrare in medias res, una considerazione prelimi- dell’utilità di contestualizzare l’etica degli Stoici e di individuarne i rapporti - di con- nare sul metodo di lavoro, che mi è sembrato opportuno adottare di fronte alla coesa t i nuità e/o ro t t u ra - rispetto alla tradizione morale gre c a , b i s ogna dunque in primo luo- s i s t e m aticità di pensiero dello stoicismo antico. Si tratta di una consap evole accetta- go insistere sul contributo di “fisica e teologia alla loro teoria del summum bonum”10.
zione della distanza e della differenza storiche, che ci separano da tale impostazione Su questa scia intendo muovermi, nella speranza di individuare una serie di testi, che e che ci impongono di mettere fra parentesi i nostri pregiudizi interpretativi, per ten- possano confermare una tale opzione ermeneutica.
tare di penetrare il più possibile all’interno della ‘cittadella’stoica5, rispettandone da Nonostante l’esigenza di mantenere costante lo sguardo d’insieme sulla fi l o s o- una parte peculiarità e scelte metodologi ch e, d a l l ’ a l t ra conclusioni e opzioni conte- fia stoica, ragioni di spazio impongono tuttavia di selezionare drasticamente l’og- nutistiche, per quanto ‘eccentriche’ esse possano apparirci.
getto di indagine in confo rmità all’argomento proposto. Sarà quindi opportuno non In concre t o , l’analisi che segue cercherà dunque di abb a n d o n a re il più possibile solo limitare cro n o l ogicamente l’ambito di ri c e rca al primo nu cleo dello stoicismo una visione della stru t t u ra interna del sap e re sicuramente fa m i l i a re per noi, ma non antico (Zenone-Cleante-Cri s i p p o )1 1, ma anche concentra re l’attenzione su quel tema esportabile sic et simpliciter alla mentalità antica, stoica in particolare. È vero, infat- che più di altri carat t e ri z z ava le scuole ellenistiche nella loro re c i p ro c a , spesso con- t i , che noi, s eguendo alcuni orientamenti di pensiero contempora n e i , possiamo per co- flittuale pro p aganda di salvezza etica: la dottrina del fi n e1 2. Questa scelta avrà come sì dire ‘ i s o l a re ’ e ‘ d i p a rt i m e n t a l i z z a re ’s i n gole questioni in singoli ambiti, c o n s i d e- c o n s eguenza inev i t abile quella di re s t ri n ge re il punto di osservazione su una sola del- rando ad esempio logi c a , fisica ed etica come campi distinti - add i ri t t u ra incomu n i- le sezioni, in cui ve n iva (didatticamente e metodologicamente) sudd iviso lo studio canti - dello scibile, ciascuno dotato di autonomia insieme contenutistica e dell’etica sin da Cri s i p p o , lasciando quindi in secondo piano o add i ri t t u ra completa- m e t o d o l ogica. A l t rettanto non si può dire, p e r ò , quando siano in gioco visioni fo rt e- mente in ombra altri temi, ugualmente import a n t i , come ad esempio le dottrine del- mente sistemat i che quale quella stoica, rispetto alla quale bisogna anzi ri c o n o s c e re l ’ i m p u l s o , delle passioni, delle esortazioni e dissuasioni, d egli o ffi c i a, n o n ch é , c o n che essa non alza ‘steccati’fra le diverse parti della filosofia6, intesa invece come una grande dispiacere, un’analisi ap p ro fondita di quella ‘ m i t i c a ’ ra ffi g u razione del sag- gio perfe t t o , che tante discussioni sollevò (e continua a solleva re) fra seguaci e in- Quale introduzione a questo ap p roccio assolutamente sistematico al sap e re, p u ò t e rp reti dello Stoicismo antico1 3.
essere allora utile leggere la testimonianza di Diogene Laerzio. Egli riporta infatti le Fatte salve le considerazioni e le limitazioni d’indagine precedentemente esposte, c o l o rite metafo re utilizzate dai pensat o ri stoici - in periodi dive rsi e con intenti non punto di partenza obbligato di ogni analisi della dottrina alto-stoica della felicità non può che essere la definizione del fi n e. Stando alla testimonianza di A rio Didimo, il t e - ‘ p o l i fo n i a ’ regi s t rata dalle fonti antiche in merito alla fo rmulazione più dettag l i ata del los, in quanto oggetto ultimo di tutti i desideri, deve essere inteso come “ciò in vista contenuto, delle direttive etiche, cui dovrebbe uniformarsi una vita felice.
di cui si compiono le azioni dove ro s e, m e n t re esso stesso non si realizza in vista di Nel passo di Stobeo già ri c o rd ato in precedenza (SVF III 16, t r. Vi a n o ) , i n fat t i , null’altro” o ancora come “il riferimento proprio di tutte le azioni della vita conformi sembrano convivere più voci stoiche. Qui lo eudaimonein come fine viene fatto con- al dove re, m e n t re esso stesso non si rap p o rta ad altro ” (ap. Stobeo, c o n s e rvata in SVF s i s t e re “nel vive re secondo virt ù , cioè nel vive re coerentemente o, il che è lo stesso, III 2, t r. Radice). In armonia con il presupposto eudaimonistico già espresso da A ri- nel vivere secondo natura”. Questa testimonianza, oltre a confermare una volta di più s t o t e l e, a n che gli Stoici, senza dissensi a quanto pare, e rano pronti a specifi c a re im- la tendenza stoica a fornire spiegazioni sostanzialmente equivalenti in rapporto all’u- m e d i atamente che pro p rio “ e s s e re felici è il fine in vista di cui si compie ogni cosa, so linguistico di determ i n ati concetti1 8, può fo rse essere interp re t ata come una sorta di mentre esso non è in vista di altro” (cfr. SVF III 16, tr. Viano). Anche sul piano della resoconto stratigrafico - sintetico, forse incompleto e non perfettamente ordinato dal d e s c rizione metafo rica di tale s t at u s etico perfe t t o , cui dov rebbe mira re l’uomo ch e punto di vista cro n o l ogico - delle successive, i n t e rs c a m b i abili anche se progre s s iva- intende realizzare pienamente la propria individualità in pieno accordo con il tutto, si mente sempre più ricche definizioni stoiche del fine, tutte e fin dall’inizio attribuibi- registra un’opinione concorde all’interno dello stoicismo nel suo complesso, se è ve- li, con buona verosimiglianza, già al fondatore della scuola Zenone19.
ro che già Zenone (v. SVF I 184) - e dopo di lui Cleante (v. SVF I 554), C risippo e P roviamo in ogni caso a dare una sequenza ord i n ata al mat e riale che abbiamo a tutti i suoi seguaci - defi n iva la felicità una e u roia biou, “un corso armonioso di vi- d i s p o s i z i o n e. Con una legge ra inve rsione dell’ordine espositivo seguito da Stobeo, b i- t a ”1 4. Al di là delle radici poetiche di questa efficace immagi n e, ri s c o n t rabili già in un s ogna porre al primo posto quella fo rmula del “ v ive re coere n t e m e n t e ” , che lo stesso ve rso dei Pe rs i a n i di Esch i l o1 5, la condivisa definizione zenoniana può essere ulte- Stobeo poco prima (e con lui altre fonti) ri fe risce a Zenone2 0. A prima vista questa de- riormente chiarita da un passo di Seneca, che sembra riprodurre con dovizia di parti- finizione sembra monca, suscita dubbi e domande. In primo luogo cosa vuol dire “ v i- colari materiale antico e che vale la pena leggere per intero: È lo stesso Stobeo nel medesimo contesto a fo rn i re per questa domanda una ri s p o- Che cos’è la felicità? Quiete e tranquillità continu a , che otterrai se sarai di ani- sta adeg u ata. Essa - ri p roponendo una tipica attitudine etimologizzante zenoniana - gi o- mo grande e irremovibilmente fermo nei buoni propositi. A tale mèta come si ca sull’espressione homologoumenos zen e la spiega in questo modo: felice va consi- a rriva? Mediante una piena intelligenza della ve ri t à , mantenendo nelle azioni d e rata la vita vissuta “in confo rmità ad una ragi o n e2 1 unica e arm o n i c a , p o i ché sono o rd i n e, m i s u ra , c o nve n i e n z a , avendo una volontà sch iva del male e rivolta al i nvece infelici quelli che vivono in modo contra dd i t t o rio”. Il ri ch i a m o , come abb i a m o bene, che opera in armonia con la ragione, senza mai scostarsene, e si mostra già visto nel brano di Seneca, è anche qui a un criterio normativo forte di ordine, mi- degna di amore ed assieme di ammirazione. Infine per darti in breve una nor- sura, armonia, che spinga a cercare la conformità felice nella coerenza razionale, che m a , s appi che l’animo del saggio deve essere tale quale s’addice ad un dio (Sen.
sappia concretizzarsi anche in un rapporto equilibrato fra interno ed esterno22.
La certezza dell’attribuzione dossografica e la spiegazione appena citata non eli- Questa pagina di Seneca mette a tema non solo l’obiettivo ultimo del nostro agi- minano tuttavia alcune diffi c o l t à , che sembrano sorge re rispetto alla corretta interp re- re, ma lascia trasparire anche i mezzi con cui lo si dovrebbe raggiungere. Essa invita tazione da dare alla definizione. Se il termine ultimo di ogni nostro desiderio è “vive- p e rtanto a indaga re meglio in cosa esattamente consistano sia il positivo fl u i re della re coerentemente”, non è legittimo chiedersi “coerentemente” rispetto a che cosa? La n o s t ra vita quotidiana in cui dov rebbe ri nve n i rsi la fe l i c i t à , sia gli at t eggiamenti e le scelte morali che possano ga ra n t i re alla nostra esistenza una sorta di pro s p e rità fa c i- Secondo Stobeo, già i suoi immediati successori (Cleante per pri m o ) ,i n fat t i , av reb- l e, p riva di angustie1 6. Si tratta insomma a questo punto di delineare meglio cosa sia b e ro sentito la necessità di integra re quella fo rmu l a , sentita come un manch evole “ p re- quella ‘eu-daimonia’ che ‘sa di divino’, secondo un’assonanza non a caso evocata da d i c ato minore (e l atton kat ego re m a)2 3” , e di pre c i s a re meglio l’ambito di ri fe ri m e n t o S e n e c a , e che viene quasi etimologicamente assimilata - anche nella testimonianza di d e l l ’ e s i genza di coerenza fatta va l e re da Zenone. Sarebbe nata così la più nota e più Diogene Laerzio - alla condizione in cui “tutte le azioni compiute mostrino il perfet- completa definizione del fine come “ v ive re coerentemente con la nat u ra ” , che tutta- to accordo del demone che è in ciascuno di noi col vo l e re del signore dell’unive rs o ”1 7.
via viene attribuita allo stesso Zenone da Diogene Laerzio, il quale con grande scru- A n che se non abbiamo alcuna testimonianza sulle argomentazioni positive addotte da- polo cita anche l’opera da cui essa sarebbe tratta (Sulla nat u ra dell’uomo: c f r. DL V I I gli Stoici a sostegno della loro nozione di felicità, credo che quest’ultima precisazio- 87). Credo vi siano buoni motivi per considerare fededegna la testimonianza laerzia- ne laerziana possa aiutare a mu ove rsi con maggior sicurezza di fronte all’ap p a re n t e n a2 4. Senza cedere all’immagine di un Cleante che corregge il maestro e senza fo r- mulare ipotesi evolutive su due fasi diverse dello sviluppo filosofico di Zenone25, mi inammissibile nel mondo antico3 1, si lega immediatamente a una delle tante, p a ra d o s- s e m b ra infatti più economico e legittimo supporre che egli abbia a un certo punto sen- sali e contro i n t u i t ive, tesi etiche dello Stoicismo. Essa viene dossogra ficamente ben tito l’esigenza - forse anche perché pressato dalle polemiche e dalle richieste di chia- riassunta nell’affe rmazione secondo cui “ Z e n o n e, C risippo nel primo libro Delle virt ù rimento di avversari e discepoli - di chiarire meglio il suo pensiero26. Egli avrebbe al- e Ecatone nel secondo libro Dei beni s o s t e n gono che la virtù è sufficiente alla fe l i- lora legato il raggiungimento del fine - e dunque il conseguimento della felicità - alla c i t à ”3 2. Fin da Zenone, d u n q u e, il bene sommo sembra consistere non tanto in c i ò ch e piena realizzazione della nat u ra pro p ria dell’uomo. Se ci chiediamo in cosa poi eg l i viene compiuto, ma nel m o d o o meglio nella condizione interi o re secondo cui esso facesse consistere tale nat u ra peculiare, possiamo ri s p o n d e re indicando almeno con viene compiuto, al punto che ogni valutazione etica delle azioni non va espressa in certezza la funzione che attribuiva a essa: quella di guidarci alla virtù27. O ancora più merito alla loro fattualità, ma solo alla luce dell’intenzionalità guidata da virtù (o al- esattamente dovremmo dire che Zenone condivideva l’idea - già aristotelica - secon- l’opposto distorta dal vizio), che ne determina la bontà (o malvagità) indipendente- do cui la condizione ottimale di ogni realtà consiste nel pieno compimento della fun- zione che le è pro p ri a , coincidente nel caso dell’uomo con la ragione (cfr. anche Stob.
Il priv i l egio pro b abilmente concesso a quell’at t eggiamento di estrema coere n z a II 75, 8ss.). Decisiva può forse rivelarsi, in proposito, la lettura di un brano di Seneca che si esprime nella dimensione della virtù individuale rispondente a un uso retto del- (ep. 76, 10, tr. Boella=SVF III 200a, parz.): la ragione sembra dunque rivelarsi come contributo specifico di Zenone alla nascen-te definizione stoica di felicità. Esso non rappresenta tuttavia l’unico possibile ango- Che cosa ha l’uomo di part i c o l a re? La ragi o n e : q u e s t a , quando è dritta e per- lo prospettico da cui guard a re al sommo bene; anzi, come ben ci attestano le fonti an- fe t t a , rende l’uomo pienamente fe l i c e. Dunque ammesso che ogni essere, q u a n- t i ch e, la soluzione zenoniana poteva pre s t a rsi a un’assimilazione con la dottrina cinica, do ha condotto alla perfezione la sua qualità carat t e ri s t i c a , è degno di lode ed p a rt i c o l a rmente pericolosa per l’intento sistematico dello stoicismo3 4. La considera- ha raggiunto il fine della sua nat u ra , che la qualità carat t e ristica dell’uomo è zione dell’eccellenza morale individuale come condizione insieme necessaria e suffi- la ragi o n e, se ne deduce che questi è degno di lode ed ha raggiunto il fine del- ciente della vita felice ri s ch i ava di ‘ ap p i at t i re ’ lo stoicismo sulla linea di quel cinismo, la sua nat u ra , se ha condotto alla perfezione la ragi o n e. E questa quando è per- che come abbiamo visto era sentito quale “via breve alla virt ù ” , o quanto meno di re n- fetta si chiama virtù e s’identifica con l’onestà2 8.
d e re legittima la posizione ‘ e s t re m i s t i c a ’ o se si vuole ‘ e t e ro d o s s a ’ di A ristone di Chio, Alla luce di questa e di altre testimonianze è ve rosimile supporre che Zenone pen- che pro fe s s ava quale fine etico supremo “il vive re perfettamente indiffe rente a tutto sasse l’ideale di coerenza naturale in termini che potremmo definire ancora socratici, ciò che non è né virtù né vizio, non ammettendo alcuna distinzione fra cose indiffe- ovvero come piena realizzazione della virtù di ciascun singolo individuo intesa come renti, ma considerandole tutte uguali” (DL VII 160=SVF I 351)35. Nella formula ze- dispiegamento compiuto e controllato della sua razionalità, come accordo e armonia noniana del vivere coerentemente rispetto a una natura umana intesa come pieno svi- interiore29. E’insomma legittimo ipotizzare che il fine della vita felice fosse sottratto luppo della ra z i o n a l i t à , che coincide con l’esercizio della virtù e dunque con il pos- da Zenone a qualsiasi fo rma di dipendenza dall’esteri o rità e assicurato invece all’e- sesso della fe l i c i t à , vi era insomma un ri s ch i o : quello di ri d u rre lo stoicismo a una sort a sercizio di quella vita virtuosa che già la tradizione cinica aveva consapevolmente ri- di limitato e intransigente rigorismo morale, incapace di rendere conto in senso e con vendicato nella sua personale interpretazione del magistero socratico. Non è forse un intento sistematico dell’intera realtà e ancora una volta assimilabile alla posizione ra- c a s o , a l l o ra , che nelle fonti antiche il modo stesso in cui Zenone visse e tradusse in dicale dei Cinici, i quali “come A ristone di Chio, b a n d i rono la logica e la fisica e si p ratica le sue dottrine etiche basilari venisse esplicitamente accostato al cinismo, q u a n- dedicarono solo all’etica” (DL VI 103).
to meno a quella versione del cinismo che ne faceva una variazione sul tema e un ap- Si può allora supporre che fu proprio l’insufficiente livello di esplicitazione del- la fo rmula zenoniana del fine a suscitare all’interno della scuola un vivace dibat t i t o , profondimento della filosofia di Antistene. Leggiamo infatti ancora in Diogene Laer- incentrato non a caso sull’esatto valore da attribuire alla physis nella ‘definizione al- zio (VI 104) il seguente accostamento: proprio i Cinici “ammettono che il fine supre- lungata’. Il nostro testimone privilegiato resta sempre Diogene Laerzio, un cui estrat- mo è vive re secondo virt ù , come dice Antistene nell’E ra cl e, in modo uguale agli Stoici, to dossografico merita di essere citato qui per esteso (DL VII 89): perché v’è una certa affinità tra queste due scuole. Anzi alcuni hanno definito il Cini-smo via breve alla virtù. E così visse anche Zenone di Cizio”3 0. L’insistenza sulla per- Per la natura conformemente alla quale dobbiamo vivere, Crisippo intende sia fezione moralmente virtuosa come ga ranzia di fe l i c i t à , che molti interp reti hanno sen- quella comune sia quella umana nella sua propria particolarità. Cleante invece tito come quasi pre-kantiana esaltazione dell’autonomia del dove re contro ogni ri- per la natura che dobbiamo seguire intende solo quella comune e non la natu- s chiosa fo rma di eteronomia o come un ap p roccio meramente “ fo rm a l i s t i c o ” a l l ’ e t i c a Dando coerente seguito all’impostazione marc atamente fi s i c o - t e o l ogica del suo Si legge inoltre nell’opera Questioni di fi s i c a: “Non c’è altro modo né modo s t o i c i s m o , Cleante per primo sentì la necessità di ch i a ri re i termini della questione: s e più adatto per affrontare la questione dei beni e dei mali, o della virtù, o della di physis si parla a proposito del fine ultimo in etica, il riferimento non può che esse- fe l i c i t à , se non prendendo le mosse dalla nat u ra comune e dalla stru t t u ra del re alla natura intesa in senso universale (cfr. le testimonianze raccolte in SVF I 552).
cosmo”. Prosegue poi così: “Il discorso sui beni e sui mali va collegato a tale Ciò ha conseg u e n ze importanti e mette in gioco una visione del mondo che senza om- p ro bl e m at i c a , d ato che non esiste alcun fondamento né ri fe rimento migliore di bra di dubbio possiamo dire ‘fatalistica’: essa risolve infatti il corretto comportamen- questo. D’altra parte, se c’è un buon uso della scienza fisica, questo è proprio to umano nel pieno adeguamento della volontà individuale ai disegni di Zeus, a quel quando si applica alla distinzione dei beni e dei mali”.
Logos “comune” e “unico”, che egli ha voluto “eterno per tutte le cose”36. Non man- Di questo tentativo crisippeo di legare in modo organico le capacità epistemolo- cano certo testimonianze, che servono a confermare questa visione ‘religiosa’, teolo- giche dell’uomo alla comprensione della struttura fisica del tutto in vista di un più li- gicamente fo rte di Cleante; fra tutte basti ri c o rd a re, o l t re ai ve rsi cari chi di affl ato mi- n e a re e per nulla tra u m atico inserimento etico del singolo nel ‘ c o rso del mondo’ re s t a stico e di fiducia provvidenzialistica dell’Inno a Zeus3 7, quelli notissimi conservati da un sunto signifi c at ivo in una testimonianza laerziana, già parzialmente ri c o rd ata in Epitteto e pro b abilmente integrati da Seneca, che nella chiusa di una sua epistola scri- precedenza e che vale la pena ora leggere per esteso (DL VII 87-88=SVF III 4): ve (ep. 107, 11=SVF I 527, tr. Boella): C risippo nel libro primo Dei fi n i a ffe rma inoltre che il vive re secondo virt ù Conducimi, o padre e signore dell’alto cielo, coincide col vivere nell’esperienza degli accidenti naturali; ché le nostre natu- re sono parti della nat u ra dell’unive rso. Per questo motivo il fine è costituito eccomi pieno di slancio. Supponi che io sia contrario, dal vivere secondo natura, cioè secondo la natura singola e la natura dell’uni- ve rs o , nulla operando di ciò che suole pro i b i re la legge a tutti comu n e, che è e con l’animo avverso subirò ciò che avrei potuto fare di buon animo.
identica alla retta ragione diffusa per tutto l’unive rso ed è identica anche a Zeus, Chi segue i fati lo conducono, chi recalcitra lo trascinano (ducunt volentem fata, nolentem trahunt)38.
Il bra n o , pur nel suo carat t e re estremamente sintetico e quasi sch e m at i c o , pone in Secondo Cleante, quindi, non pare neppure possibile dare piena soddisfazione al primo piano un tipo di argomentazione, quello fondato sulla relazione fra le parti e il p ro p rio essere in altro modo che attuando un ri go roso dover essere, ov ve ro conoscendo tutto, che costituisce sicuramente uno dei terreni di indagine preferiti da Crisippo (in e seguendo la legge divina che regola e dispone eventi e azioni nel cosmo.
più punti delle sue trat t a z i o n i , e t i che e non)4 1. E’ impossibile pensare che la punta più Fo rte di questa ‘ v i rata teologi z z a n t e ’ imposta al pro blema della determ i n a z i o n e alta della moralità del singo l o , l ’ agi re secondo virtù che è insieme piena at t u a z i o n e del fine dal suo pre d e c e s s o re, C risippo tentò pro b abilmente una mediazione fra le della più distintiva delle note caratteristiche umane: la sua natura razionale, possa ri- posizioni di Zenone e Cleante3 9. Si spiega così, come abbiamo sentito dalla testi- s i e d e re in un comportamento dissonante rispetto all’armonica stru t t u ra ga rantita al- monianza laerziana citata in precedenza (cfr. s u p ra, p. 137), il ruolo di equilibrat a l ’ u n ive rso nella sua totalità dalla legge altrettanto razionale di Zeus4 2. Piuttosto, l o c o m p resenza che egli asseg n a , ai fini del conseguimento della fe l i c i t à , alla sfe ra na- s fo r zo dell’uomo va indiri z z ato esattamente ve rso la conquista di una conoscenza sal- t u rale individuale da una parte e a quella unive rsale dall’altra. Coerentemente con da dei nessi - sottili, spesso difficili a vedersi, ma insieme assolutamente adamantini la sua tendenza analitica ed esplicat iva rispetto ai punti più oscuri o controve rsi del- - che legano ogni pur minima parte alle altre, in una i n finita series causaru m4 3. Al suo la dottrina stoica, del re s t o , C risippo aggi u n ge precisazioni importanti sulle moda- interno esiste per ciascuno di noi un ruolo ben preciso, assegnato e disegnato provvi- lità in cui la mediazione fra le due sfe re può e deve av ve n i re. Esse rap p re s e n t a n o denzialmente, che noi da buoni attori dobbiamo semplicemente imparare ad accetta- fo rse l’esempio più ch i a ro di quella sistematicità di pensiero che fin dall’inizio ho re e incarnare sulla scena del mondo, poiché non è in nostro potere mutarne la trama, rive n d i c ato come cifra carat t e ristica dello Stoicismo antico. È pro p rio nel pensiero i m p rovvisando o ‘ recitando a bra c c i o ’4 4. All’uomo resta dunque ap e rta una sola via c risippeo che tale attitudine gi u n ge a pieno compimento, fino a porre esplicitamen- facile alla vita fe l i c e : “non devi cerc a re che gli av venimenti vadano come vuoi, m a te e in modo metodologicamente pre s c ri t t ivo l’indagine fisica quale premessa indi- volere gli avvenimenti come avvengono: e vivrai sereno” (Epict. ench. 8, tr. Cassan- s p e n s abile dell’etica. Come confe rma un ‘ f ra m m e n t o ’ di Crisippo conservato da Plu- m ag n ago; cfr. anche d i s s. II 14, 7). Si tratta di una condizione, la cui raggi u n gi b i l i t à t a rco (SVF III 68, t r. Radice), i n fat t i : passa at t rave rso l’attuazione del ruolo per cui la divinità lo ha introdotto nel mondo, ovvero “come spettatore (di Dio) e delle sue opere; e, anzi, non solo come spettatore, (Long 1996d, 170). Anzi, come potremmo dire con terminologia contemporanea ca- ma anche come interprete delle medesime”45.
ra anche ai dibattiti bioetici, esso detta all’uomo la necessità di sincro n i z z a re il pro- È qui, in questa equilibrata compenetrazione fra il retto uso delle nostre poten- p ri o ,i n d ividuale oro l ogio biologico con la cosmo-biologia del sistema più vasto in cui zialità gnoseologi che e l’adattamento non tra u m atico alle esige n ze del tutto, che lo egli vive5 1, i m p o n e n d ogli - ancora e con forza sempre maggi o re - l’esigenza di ri- Stoicismo antico pone quello s t at u s di s o p h o s, di sommo sap i e n t e, cui competono spettare un consapevole e diffuso ‘principio di responsabilità’52.
tutte le perfezioni. Ed è qui, a n c o ra , quella “disposizione coere n t e ” , ap p o rt at rice difelicità ed equivalente alla perfetta purezza etica4 6, che si preoccupa della mora l i t àdelle intenzioni secondo cui agiamo e non delle loro conseg u e n ze né tanto meno del-la loro effe t t iva at t u a z i o n e, p o i ché essa non dipende da noi, ma dalla divina “ c o n d u-zione del tutto”.
Si trat t a , come ben si ve d e, di un compito ard u o , d i rei quasi di un ideale sov ru- m a n o , che per ammissione degli stessi Stoici ri s chia di re s t a re inat t u at o , nel passat ocome anche nel presente e nel futuro47. La difficoltà di segnare a dito una figura sto-ricamente esistita di sophos, unita all’esigenza di render conto in modo meno rigori-stico delle esige n ze della vita quotidiana, dando va l o re o creando in qualche modo unospazio di dignità etica anche alle realtà intermedie fra virtù e vizio, fi n i rono con los p i n ge re gli Stoici all’elab o razione di teorie ancor più ‘ c o n c i l i at o ri e ’4 8. Si arrivò co-sì, già con Crisippo, alla formulazione della teoria della cosiddetta oikeiosis, fondatasul riconoscimento nella nat u ra umana di una duplicità di condizioni, c ro n o l ogi c a-mente distinte e tuttavia poste su di una linea evolutiva che non conosce soluzione dic o n t i nu i t à4 9. La pri m a , d a l l ’ i n fanzia al raggi u n gimento della mat u ri t à , è quella re t t asolo da una sorta di istinto di auto-conservazione, che ci spinge a perseguire ‘a-razio-nalmente’ i “primi beni secondo natura”. La seconda, frutto della piena realizzazioneproprio di quella razionalità che ci distingue dagli altri esseri viventi, si rivela quellache dà attuazione completa alla virtù e che soprattutto con i successori immediati diC risippo - Diogene di Babilonia e A n t i p at ro di Ta rs o , p re s s ati anche dalle radicali cri-tiche di Carneade - venne identificata con una sapiente selezione dei beni esterni, an-che non morali50.
Ma qui il discorso dovrebbe inoltrarsi nella discussione di altre, più tarde formu- le del fine stoich e, che fo rse miravano anche a dare un’immagine dive rsa della fe l i-cità; e questo esula senz’altro dall’obiettivo circoscritto che mi ero proposto.
Comunque, se una conclusione si può trarre dall’analisi precedentemente propo- sta, direi che essa va nella direzione di un’apertura di credito alla proposta eudaimo-nistica dello stoicismo antico. Se è vero che l’ideale che questa scuola filosofica con-s egna alla nostra ri flessione etica può sembra re lontano dall’hic et nu n c del nostro vi-ve re quotidiano, c redo si possa e debba tuttavia ri c o n o s c e re che esso svo l ge - in term i n iquasi kantiani - una funzione ‘ rego l at iva ’ altissima. Il modello di felicità di cui abb i a-mo discusso, infatti, esorta a porre le risorse e le forze di ciascuno di noi in piena sin-tonia con il fluire del tutto. Per usare le parole di Long, esso suggerisce di pensare “ilmondo come una cosmopoli o un eco-sistema di cui ogni persona è parte integrante” mo il metodo di lettura coerentemente e pro ficuamente ap p l i c ato alle tesi eudaimonistiche stoi- che ad esempio da A n t h o ny Long (1996a) e Gisela Stri ker (1996a); cfr. inoltre Christensen 1962;K i dd 1971, 157-158 e i ri chiami metodologici di Fo rs chner 19952, sp. 246ss. Sugli “ e s e rc i z is p i ri t u a l i ” che scat u riscono dal carat t e re sistematico della fi l o s o fia stoica cfr. almeno Hadot1 9 9 8 , sp. 131ss. Per una lettura molto dive rs a , che sembra invece nega re importanza fo n d a-mentale al contesto cosmico per la corretta interp retazione dell’etica alto-stoica, c f r. almeno 1 Il dibattito al riguardo è vivo e vastissimo: per un primo orientamento d’insieme cfr. al- Annas 1993, 159ss. e 176ss.; contra cfr. tuttavia almeno le osservazioni di Inwood 1995.
meno Berti 1992; sul piano specifico delle dottrine etiche e soprattutto politiche contempora- Long 1996a, 181. Si dov rebbe nat u ralmente indaga re anche il legame logica-etica nel si- nee ‘indebitate’con Aristotele cfr. ora Giorgini 1999; utili indicazioni infine si possono legge- stema stoico, concentrando in primo luogo l’attenzione sul concetto di assenso (sygkatathesis) re nell’Introduzione alla traduzione italiana di Annas 1993: v. Annas 1998, sp. 7-16.
quale trait d’union fra teoria e prassi; o ancora analizzando l’applicabilità in campo morale di 2 E N I 1, 1094a18-24 e 2, 1095a16-22 (tr. Natali); per una ri c o s t ruzione della presenza del- t e o rie come quelle degli effetti o dei pre d i c ati incorp o rei. Tale indagine esula tuttavia dagli sco- la metafo ra dell’arc i e re e del re l at ivo concetto di s ko p o s non solo negli Stoici, ma anche nel pi del presente contri buto; per ora mi limito a ri nv i a re al ri g u a rdo alla trattazione di Long 1996c.
pensiero precedente, a partire da Omero, cfr. Alpers-Gölz 1976; per le occorrenze, l’evoluzio- M o d i fi che signifi c at ive, secondo alcuni interp reti dra s t i che (cfr. Long 1967), alla dottri- ne e le diffe renziazioni (soprattutto fra s ko p o s e t e l o s) ge n e rate in ambito stoico dall’uso del pa- na del fine furono ap p o rt ate in primo luogo dai successori immediati di Cri s i p p o :D i ogene di Ba- ragone cfr. almeno Ioppolo 1980,91ss. e Alesse 1994,54ss. Per la continuità di ‘impostazione bilonia e A n t i p at ro di Ta rs o , s o p rattutto nel senso che essi - quasi a ‘ m i t i ga re ’ “l’idealismo eti- e u d a i m o n i s t i c a ’f ra A ristotele e le scuole ellenistiche cfr. almeno Long-Sedley 1987, 1 , 3 9 8 ; c o ” dei primi fi l o s o fi stoici (cfr. Rieth 1934, 14-15) - mira rono a re c u p e ra re un ruolo e una fun- Long 1996a, 179; Stri ker 1996a, sp. 221-222; Sharples 1996, sp. 83-84; Inwood in Inwo o d - D o- zione positiva alle “cose secondo nat u ra ” , i cosiddetti indiffe renti pre fe ri b i l i :c f r. almeno Stob. II nini 1999, sp. 684. Per un confronto fra le concezioni eudaimonistiche aristotelica e stoica cfr.
7 6 , 9-15 e per il dibattitto suscitato dalle loro tesi i testi raccolti in Long-Sedley 1987, 1 ,c ap. 64; almeno Irwin 1986, il quale arriva addirittura a scrivere, in un altro contributo più recente, che c f r. anche i n f ra, p. 10 e n. 50. Più sfumat a , ma fo rse - nonostante indubbie e ori ginali aggiunte - “per dare la spiegazione più plausibile delle principali tesi di Aristotele dobbiamo abbandona- più aderente alle tesi dei p at re s stoici ap p a re invece la posizione di Panezio (cfr. sp. T. 53 A l e s- re la sua teoria a favore della teoria stoica”(Irwin 1998, p. 192). All’opposto,per una ne gazio- se e re l at ivo commento in Alesse 1997a, 1 8 3 - 1 8 4 , con utili ri nvii testuali e bibl i ogra fici; v. tut- ne di possibili influssi aristotelici sullo stoicismo cfr. almeno la posizione - in verità troppo ra- t avia anche Long-Sedley 1987, 1 , sp. 401 e Fo rs chner 19952, 2 2 6 ) ,m e n t re peculiare e nu ova- dicale ed ‘estremistica’ - di Sandbach 1985.
mente ‘ t e o l ogi z z a n t e ’ ap p a re quella di Posidonio (cfr. fr. 186 E.K., d ove degna di nota è la men- 3 Per un’analisi introduttiva al riguardo cfr. Long-Sedley 1987, 1, 160. Per alcune interes- zione ‘ p l at o n i z z a n t e ’ del dominio da eserc i t a re sulla parte irrazionale dell’anima).
santi considerazioni e comparazioni sul concetto di “sistema”nello stoicismo antico e nel pen- Per avere una percezione immediata della centralità di questo problema ai fini della di- siero moderno (con particolare riguardo all’idealismo tedesco) cfr. anche Grosos 1998.
stinzione e opposizione delle varie scuole di età ellenistica (e anche post-ellenistica) si posso- 4 Su questa declinazione al plurale degli stili di razionalità aristotelici mi limito a rinviare no utilmente legge re le pagine dedicate da Cicerone all’esposizione della “ d ivisione carn e a d e a ” : cfr. fin. V 16-23. Per uno sguardo complessivo sulle varie ‘tappe’del secolare dibattito interno alla scuola stoica sulla questione del t e l o s a n c o ra utilissime si rivelano le pagine di Rieth 1934; Cfr. per quest’immagine anche il brano di Diogene Laerzio citato subito infra, n. 7.
per un sintetico résumé delle posizioni attribuibili rispettivamente a Zenone, Cleante e Crisip- 6 Più in ge n e rale sulla partizione dei campi di pertinenza della fi l o s o fi a , a part i re esplici- po cfr. anche Isnardi Parente 1993, sp. pp. 30-32,49, 98-99. Sulle stratificazioni dossografiche tamente da Senocrate (=fr. 82 Isnardi Pa re n t e ) ,c f r. almeno i lavo ri di Boyancé 1971, Hadot 1979 ri n t ra c c i abili dal confronto fra le va rie fonti antiche che tale dottrina ci hanno trasmesso fo n- (con ulteriori rinvii in Hadot 1998, 135, n. 133) e Ierodiakonou 1993.
damentale - nonostante le riserve esprimibili sulla tesi ‘monistica’di fondo che lo r egge - resta 7 DIOGENE LAERZIO (=DL) VII 40 (la traduzione di questo e di tutti gli altri passi laerziani infine il lavoro di Giusta 1964-1967.
c i t ati in seguito è di Marcello Gigante); per altri opportuni ri nvii cfr. anche Goulet 1999, s p .
13 Per la partizione dell’etica qui cursoriamente ricordata e per la sua paternità dossografi- 818, n. 2, oltre alla raccolta commentata di Long-Sedley 1987, 1, sp. cap. 26.
ca cfr. almeno DL VII 84=S t o i c o rum Ve t e rum Frag m e n t a (=SVF) III 1; sul ‘ m i t o ’ del saggi o 8 Si ricordi che il dissenso sembra essere stata una costante all’interno della scuola stoica, cfr. le indicazioni testuali fornite infra, nn. 46 e 47.
come av remo modo di ve d e re subito a proposito della fo rmula del fine e come attesta più in ge- 14 Cfr. ancora SVF III 16; e inoltre DL VII 88=SVF III 4; Sext. Emp. M XI 30 e 110; PH nerale - seppure forse con voluta esagerazione malevola - una testimonianza di Numenio con- III 172; cfr. inoltre Marc. Aur. II 5; V 9 e 27. Long 1996a, 189 osserva: “la metafora acquatica servata in Eus. pr. ev. XIV 5, 4.
evoca regolarità, assenza di impedimenti e abbondanza - termini che si confanno a determina- 9 C f r. la testimonianza di Sesto Empirico in M VII 19 (che at t ri buisce poi un ruolo tutto te condizioni formali della eudaimonia come completezza, stabilità e auto-sufficienza”.
particolare a Posidonio). Questo necessario e reciproco rinviarsi interdisciplinare rende legitti- 15 Cfr. Pers. 601, su cui si richiama l’attenzione in Long-Sedley 1987, 2, 389.
E sottratta add i ri t t u ra , a quanto sembra , alla tirannia del tempo, in quanto completa e per- Su tale specie di ‘ p re d i c ato zo p p o ’ nella cl a s s i ficazione stoica cfr. la testimonianza di fetta in ogni istante. Cfr. al riguardo, fra i vari passi inseriti in SVF III 54, la seguente testimo- Po r fi rio in SVF II 184 (tr. Radice): “e ancora se ciò che viene pre d i c ato del nome ha bisog n o nianza plutarchea, che segna uno stacco netto rispetto alla visione per così dire ‘cumulativa’ e dell’aggiunta di un altro nome in caso obliquo per dar luogo ad una affermazione, si dice sub- ‘progressiva’tipica ad esempio di Aristotele:“I nostri uomini (scil. gli Stoici) non si limitano a queste affermazioni,ma ve ne aggiungono altre: ‘lo scorrere del tempo non fa crescere il bene, 2 4 Pa c e Pohlenz 1967, 2 3 6 , n. 14, contesto e citazione diretta del libro sono in tal senso ele- ma se uno sarà saggio anche per un breve istante, non perde niente, in termini di felicità (pros menti molto fo rt i : c f r. e. g. Mansfeld 1986, 333 e ora anche Inwood in Inwood-Donini 1999, e u d a i m o n i a n) , rispetto a chi goda eternamente della virtù vivendo in essa una vita fe l i c e ” ( t r.
Radice). A n c o ra sul va l o re dell’istante, sullo sfondo però della meditazione sulla morte e il suo 25 Cfr. tuttavia per un’ipotesi evolutiva estremamente articolata il lavoro di Rist 1977.
significato, cfr. anche Marc. Aur. II 5, 2.
2 6 Per il ruolo specifico che av rebbe gi o c ato in tal senso la controve rsia con Polemone sul- 1 7 DL VII 88=SVF III 4; cfr. anche Epict. d i s s. III 24, 19 e Long-Sedley 1987, 2 ,3 9 1 , i qua- la vita secondo nat u ra o meglio sui p rota kata phy s i n c f r. Ioppolo 1980, 146ss.; cfr. anche Bru n- li propongono dubitativamente di identificare il daimon qui chiamato in causa con l’egemoni- co del singolo individuo. Il passo laerziano sembra inoltre confe rm a re che la nozione alto-stoi- 2 7 C f r. ancora DL VII 87 e sulla questione Long-Sedley 1987, 1 , 400; signifi c at iva è anch e ca di felicità implica un ruolo atti vo da parte del soggetto agente e non può essere identificata la definizione stoica del buono come perfezione di una natura razionale in DL VII 94.
con una statica disposizione interi o re. Quest’ultima tendenza interp re t at iva sarà invece pro p ri a , a quanto pare, di Stoici più tard i , come ad esempio Epitteto: c f r. al ri g u a rdo Irwin 1986, 2 2 5 s s . , Cfr. inoltre, benché su di un terreno leggermente diverso e più ‘conciliatorio’ rispetto a successive posizioni stoiche sul fine, Cic. fin. IV 70, nonché fin. IV 28 (=SVF III 20).
Rispetto alle varie definizioni del fine, infatti, “la maggior parte dei resoconti sembrano Cfr. al riguardo Ioppolo 1980,145-146. Più in generale sul ruolo e sull’influsso socrati- differire per enfasi piuttosto che sul piano della dottrina”(Long-Sedley 1987, 1,400). Un altro ci rispetto alla dottrina stoica rinvio quanto meno a Long 1996b, Striker 1996b, Alesse 1997b, caso emblematico della sopracitata tendenza stoica è rappresentato dalle definizioni del corag- De Luise-Farinetti 1997, sp. cap. IV; Irwin 1998.
gio registrate in Cic. Tusc. IV 53.
30 Sulla testimonianza e sulle sue implicazioni filosofiche e dossografiche mi limito a rin- 1 9 Di questo avviso era già Dyro ff 1897, 29ss.; per uno s t atus quaestionis sulle possibili re- viare all’ottima trattazione di Brancacci 1992. Per la posizione di Aristone al riguardo cfr. Iop- lazioni fra le due fo rmule del fine zenoniane cfr. Ioppolo 1980, 1 4 3 - 1 4 4 , n. 5; si vedano inoltre polo 1980, 158. Più in ge n e rale sul nesso con il cinismo cfr. anche DL VII 121, n o n ché Jag u le interessanti osservazioni di Striker 1996a, sp. 223-224.
1946; Long 1996a, 186-187 e l’interp retazione molto ori ginale di Hossenfelder 1996, sp. XXV Per un elenco dettagliato degli altri passi rilevanti,molti dei quali raccolti in SVF I 179, cfr. Pohlenz 1967, 236, n. 14; per il carattere fortemente “eclettico” della testimonianza di Ci- Per la prima posizione - criticata ad es. da Long 1996a, 200ss. nonché da Hossenfelder cerone nel Lucullus (131=SVF I 181) cfr. almeno Isnardi Parente 1989, 187, n. 195.
1 9 9 5 , 207s. - cfr. l’interp retazione ‘ k a n t i a n a ’d i ch i a rata in Pohlenz 1967, I I , 414-415 e adom- b rata in Fo rs chner 1986 (poi rivista dall’autore nel N a ch wo rt alla seconda edizione della sua La tentazione sarebbe quella di re n d e re qui l ogo s d i rettamente e in modo fo rte con “ l eg- m o n ogra fia sull’etica stoica, n o n ché in un contri buto più re c e n t e : c f r. Fo rs chner 19952 e Fo r- ge”, quasi a voler retrodatare già a Zenone una lettura sistematica del fine come accordo della s chner 1998; sulla relazione stoicismo/Kant cfr. ora Engstro m - Wh i t n ey 1996); per la seconda n at u ra individuale con quella unive rsale; il testo di Stobeo - che può essere accostato a Epict.
cfr. almeno Rist 1977, 171. Per una terza via interpretativa, che vede la formula zenoniana del d i s s. II 26, 1 - non off re tuttavia elementi, che consentano di spinge rsi fino a questo punto. Sulla t e l o s come lontana sia da pre c o rrimenti kantiani sia da legami fi s i c o - t e o l ogi c i , ma viceve rsa co- d i fficoltà che presenta la resa di l ogo s in questo passo di Stobeo cfr. anche Stri ker 1996a, 2 2 3 ,n .
me capacità di accord a re vo l e re e potere ponendosi obiettivi pienamente re a l i z z abili e come pri- 2 , che lo traduce con “ p rinciple”; Inwood 1985, 107 pre fe risce invece “ by a single set of pri n c i- vazione di va l o re di tutto ciò di cui non disponiamo cfr. Hossenfelder 1995, 45ss.; critico su ples (…) re c og n i zed as the Law of Nat u re, the Common Law, the will of Zeus, or Right Reason”.
questa lettura, considerata “unilaterale”, è ora Forschner 19952, 258ss. Accenno solo alla con- 2 2 Ottima mi pare la spiegazione fo rnita al ri g u a rdo da Pohlenz 1967, 2 3 5 : “ Pe rciò l’h o - s t atazione - ov v i a , d i rei - che ben più pro d u t t ivo potrebbe essere il confronto fra la posizione m o l ogi a d oveva consistere in questo: che la ragione dell’individuo fosse abbastanza fo rte da stoica e il sistema filosofico di Spinoza. m a n t e n e rsi ‘ ri t t a ’ , in quanto o rthos logo s, di fronte a qualsiasi lusinga e da conserva re senza li- 3 2 DL VII 127=SVF I 187, che contiene anche un’efficace testimonianza ciceroniana dal mitazioni la direzione dell’anima. In tal modo si realizza automaticamente quell’unità di pen- de fi n i bu s (V 79): a Zenone hoc mag n i fice tamquam ex oraculo editur: ‘ v i rtus ad bene vive n - s i e ro , d e s i d e rio e azione che non lascia emerge re alcun dissidio interno”. Nulla, in ogni caso, dum se ipsa contenta est’. Necessaria alla felicità,comunque, è solo la virtù e ciò che ne parte- può far pensare - platonicamente - a una disciplina fe rrea imposta all’interno del soggetto da cipa: cfr. almeno SVF III 76 e la testimonianza di Cicerone in Tusc. V 40-41 e 80-82. Non bi- una parte della sua anima sulle altre, dottrina del resto improponibile alla luce del radicale mo- s ogna tuttavia commettere l’erro re di identifi c a re tout court la felicità con la virtù; cfr. al ri- nismo psicologico dei primi Stoici e accettabile solo, ad esempio, nel mutato e ‘platonizzante’ guardo le osservazioni di Rist 1977, 163.
Interessanti osservazioni al riguardo si possono leggere in Hadot 1996, sp. 185-188.
Così Epict. d i s s. I 6, 19 (tr. Cassanmag n ago). Cfr. anche Cic. de nat. deor. II 37: ipse au - tem homo ortus est ad mundum contemplandum et imitandum, nullo modo perfe c t u s , sed est Cfr. in tal senso già Mansfeld 1986, 333-334.
quaedam particula perfe c t i: sul senso esatto di questo passo ciceroniano cfr. soprattutto Inwo o d 35 Per la possibilità di leggere questa formula aristonea del fine e quella ‘breve’ zenoniana come “due modi di esprimere la stessa esigenza” cfr. Ioppolo 1980, 142ss.
4 6 Si tratta di un concetto, che fo rse è possibile far ri s a l i re già a Zenone: c f r. al ri g u a rd o , 36 La citazione è tratta dal notissimo Inno a Zeus di Cleante, vv. 8 e 17=SVF I 537. Utile oltre a Cic. fin. III 21 (con le osservazioni di Rieth 1934, 19), almeno le testimonianze conser- può essere anche ricordare una nota testimonianza di Ippolito (SVF II 975), che ripropone una vate in SVF III 39, 197-200, 293, 312.
visione fo rtemente determ i n i s t i c o / fatalistica omettendo tuttavia pro p rio il nome di Cleante: “ C ri- 4 7 La polemica più radicale - e fo rse malevola - contro l’introvabilità del saggio stoico si sippo e Zenone dimostravano la tesi che tutto avviene secondo il fato ri c o rrendo a questo esem- l egge fo rse in Sesto Empiri c o :c f r. M VII 432 e IX 133. Più in ge n e rale sulla questione del ‘ m i- pio. Se si lega un cane ad un carro, se il cane vuole seguirlo, ad un tempo segue ed è trascina- to’ del saggio si veda anche Vegetti 1989, sp. cap. VIII.
t o , compiendo così un atto di autonoma libertà e pure confo rme a necessità. Se però si ri fi u t a di seg u i rl o , è tra s c i n ato e basta. Lo stesso vale per gli uomini: q u a n d ’ a n che non lo vo l e s s e ro se- Esse ri s ch i avano tuttavia di nega re l’autosufficienza della virt ù , come fa osserva re pole- g u i re andrebb e ro comunque là dov’è il loro destino” ( t r. Radice). Sul carat t e re “ nu ovo e non micamente Alessandro di Afrodisia: cfr. SVF III 64.
tradizionale” di tale “postulato teocratico” cfr. Long 1996a, 186, n. 8.
4 9 Sulla questione ri nv i o , o l t re alle osservazioni di Fo rs chner 19952, 2 1 9 s s . , di Inwood in 3 7 C f r. SVF I 537; per altri passi stoici che si mu ovono nella stessa direzione cfr. anche Fo r- I n wood-Donini 1999, 677ss. e ora di Radice 2000, alle pagine della Ioppolo 1980, 1 5 4 s s . , l a quale giustamente fa osserva re che tale dottrina “ ve rrà fo rmu l ata in tutta la sua ch i a rezza da Cri- sippo” (ivi, 155). Cfr. Long-Sedley 1987, 1, cap. 57 per una selezione dei principali testi rela- Cfr. ancora Seneca (de vita beata XV 5), il quale ci aiuta a comprendere meglio questa tivi alla dottrina della oikeiosis, da una certa tradizione dossografica considerata punto di par- posizione carica di fiduciosa religiosità.
tenza imprescindibile di qualsiasi trattazione dell’etica stoica: c f r. su tutti Cic. fi n. III 16-21, ri- 3 9 A n che se la soluzione crisippea può ap p a ri re più art i c o l ata e fo rse sottile sul piano ar- t e nuto da Annas (cfr. ad es. Annas 1999, sp. 9ss.) più accurato e completo rispetto alla go m e n t at ivo , non credo che la si possa considera re “più conciliante, ma (…) più ambigua”, c o- testimonianza ‘ p a ra l l e l a ’ in DL VII 85-86=SVF III 178; cfr. tuttavia anch e, per una lettura di- me sostengono De Luise-Farinetti 1997, 178.
ve rs a , molto più critica della testimonianza ciceroniana almeno Stri ker 1996a, sp. 225-227. Pe r 40 Per una testimonianza parallela, attribuita in modo riepilogativo a Zenone, ma forse più un’utile rassegna delle più significative posizioni in merito a tale dottrina cfr. ora De Luise-Fa- correttamente da ricondurre a matrice crisippea, cfr. il primo dei tre sensi della formula secun - rinetti 1997, 1 9 2 - 1 9 7 , n. 150 e soprattutto la ricca messe di indicazioni contenute nel commen- dum nat u ram vive re ri p o rt ato da Cicerone in fi n. IV 14 (=SVF III 13): v ive re adhibentem scien - to di Anthony Long alla nuova edizione degli Elementi di etica di Ierocle stoico, in Bastianini- tiam earum re ru m , quae nat u ra eve n i re n t; sul passo utili indicazioni si possono legge re in Rieth 1934, 20 e Forschner 19952, 220-222.
5 0 Per una ricca antologia di passi sul tema, con re l at ivo commento, c f r. Long-Sedley 1987, 41 Cfr. al riguardo le notazioni e i puntuali rinvii testuali e bibliografici in Barnes 1988.
1 , sp. cap. 64; vedi anche Fo rs chner 19952, 2 2 2 s s . , n o n ché Inwood in Inwood-Donini 1999, s p .
42 Per comprendere il valore attivo di tale koine physis si veda anche Sen. de ben. IV 7, 1, n o n ché la citazione conservata in Plut. de Stoic. rep. 1050C (=SVF II 937). Per ulteri o ri indi- 5 1 Per l’applicazione di un concetto analogo già alla ri flessione fi s i c o - c o s m o l ogica deg l i cazioni testuali cfr. anche Forschner 19952, 215, n. 21.
4 3 Si tratta di una visione ri gida e coerente insieme, che esclude il caso e rende possibile, 5 2 L’ a l l u s i o n e, s c o p e rt a , è al noto lavo ro di Hans Jonas dal medesimo titolo (cfr. Jonas 1979), l egittima la divinazione come lettura dei segni divini; sul determinismo crisippeo e sulle sue im- le cui “coloriture” aristoteliche sono state utilmente indicate da Berti: cfr. rispettivamente Ber- plicazioni logi ch e, fi s i che ed etiche cfr. ora più in ge n e rale Bobzien 1998. Più in ge n e rale per ti 1991 e 1992, sp. 225-228. Interessante potrebbe essere una ri l e t t u ra delle pagine di Jonas a n - un confronto fi l o s o ficamente stimolante delle teorie fat a l i s t i che soprattutto di Cleante e Cri- che alla luce delle esigenze sistematiche ed ‘ecologiche’ di matrice alto-stoica.
sippo si veda Vuillemin 1984, sp. capp. IV e V.
44 Mi limito qui a fornire indicazioni biblio grafiche in merito a sintetiche e utili trattazio- ni ri ep i l ogat ive sulla metafo ra dell’at t o re : ad es. in ambito socratico e soprattutto cinico: D e-cl eva Caizzi 1977, 100ss. e Giannantoni 1990, I V, 353-354; nello Stoicismo antico: I o p p o l o1980, 188ss.; in Panezio: T. 63 Alesse, con relativo commento in Alesse 1997a, 198-200, non-ché le giuste osservazioni di Vegetti 1989, sp. 289; più in ge n e rale cfr. ora De Luise-Fa ri n e t t i1997, 180ss. e soprattutto Fuentes Gonzàlez 1998, sp. 148ss.
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Source: http://www.swif.uniba.it/lei/scuola/filosofi/2000/8SPINELL.PDF

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